martedì 17
ottobre 2017
audio della lezione:
prima
parte
seconda
parte
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Presentazione del
corso: i testi d'esame; le esercitazioni di scrittura per i frequentanti;
possibile laboratorio su Cristo si è fermato a Eboli (1945)
di Carlo Levi e su Contadini del Sud (1954) di Rocco Scotellaro.
Cenni di biografia: i principali luoghi della vita di Ernesto de Martino
(Napoli, 1 dicembre 1908 - Roma, 6 maggio 1965) sono state le città
di Napoli, Bari, Roma e Cagliari, dove ha vissuto e si è formato
e ha scritto e insegnato, e la Basilicata e il Salento dove ha fatto ricerca
sul campo (si veda una cronologia
essenziale).
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venerdì
20 ottobre
audio della lezione:
prima
parte
seconda
parte |
L'Istituto Ernesto
de Martino per la conoscenza critica e la presenza alternativa del mondo
popolare e proletario: http://www.iedm.it/
L'Associazione Internazionale Ernesto de Martino: http://www.ernestodemartino.it/
(nella sezione Archivio del sito dell'Associazione sono disponibili tutti
i testi pubblicati da Ernesto de Martino, tranne le opere in volume).
Su YouTube si trovano materiali audio e video originali collegati al lavoro
e alle ricerche di de Martino, e materiali recenti come filmati relativi
alle presentazioni del libro di Amalia Signorelli Ernesto De Martino
al convegno del maggio 2016 presso l'Istituto dell'Enciclopedia Italiana
"De Martino antropologo del mondo contemporaneo".
Pietro Angelini, Ernesto de Martino, cap. 1 Le due guerre: da Naturalismo
e storicismo nell'etnologia (1941) a Il mondo magico (1948).
Naturalismo e storicismo: la crisi della civiltà europea;
l'inadeguatezza teorica dell'etnologia classica e la pigrizia della filosofia
tradizionale; il codice dell'etnonogia storicista; anamnesi storiografica:
decronologizzazione e delocalizzazione del concetto di 'primitivo'; nel
discorso critico demartiniano il compito assegnato all'etnologia storicista
resta interno alla civiltà occidentale culta: "l'etnologia
deve illuminare la storia della civiltà occidentale, e deve concorrere,
per quel che le spetta, a dare incremento e consapevolezza al nostro essere
e al nostro dover essere".
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martedì
24 ottobre
audio della lezione:
prima
parte
(incompleta)
seconda
parte |
Pietro Angelini, Ernesto
de Martino, cap. 1 Le due guerre: da Naturalismo e storicismo nell'etnologia
(1941) a Il mondo magico (1948). Con Il mondo magico de
Martino inizia a realizzare il progetto di riforma dell'etnologia in senso
storicista che aveva avviato con Naturalismo e storicismo: se quest'ultimo
era un libro 'sull'etnologia', Il mondo magico è già,
pienamente, un libro 'di etnologia', anche se basato su resoconti e saggi
altrui e non su ricerche etnografiche svolte personalmente dall'autore,
come avverrà in seguito.
Il tema scelto è quello della magia, centrale non solo nella vita
delle comunità 'primitive', ma anche per la storia della stessa
civiltà europea, che emerge nella sua fisionomia razionale e critica
anche dal superamento di quella magia naturale che per due secoli, tra
il '400 e il '600, ha accompagnato lo svilupparsi del pensiero scientifico
moderno.
La seconda parte della lezione è stata dedicata alla risposta a
una domanda sul tema dell'etnocentrismo critico demartiniamo, anche in
confronto con posizioni e proposte metodologiche diverse (Malinowski,
Lévi-Strauss).
[riferimenti citati: definizioni di cultura, etnocentrismo, relativismo
in A. M. Cirese, Cultura
egemonica e culture subalterne (1973); Francesco Remotti su Lèvi-Strauss
Il secolo di Lévi-Strauss (2008), e su Lévi-Strauss
e de Martino Per
il centenario di Lévi-Strauss. Cosa ci ha insegnato anche in tema
di laicità (2008); George W. Stocking su Malinowski La
magia dell'etnografo (1984)]
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venerdì
27 ottobre
audio della lezione:
prima parte
seconda
parte |
Il 25 ottobre 2017 è morta Amalia Signorelli. La rivista Left
l'ha ricordata ripubblicando sul suo sito il testo di una intervista
del 2015, realizzata in occasione della pubblicazione di Ernesto De Martino.
Teoria antropologica e metodologia della ricerca. La figura e il lavoro
di Signorelli sono stati ricordati efficacemente da Fabio Dei con un articolo
su il Manifesto. Ricordiamo che Amalia Signorelli è l'ultima
degli antropologi italiani scomparsi nel corso del 2017: Giulio Angioni,
Clara Gallini, Antonino Buttitta, Ugo Fabietti, Tullio Seppilli l'avevano
preceduta, tra gennaio e agosto.
Pietro Angelini, Ernesto de Martino, cap. 1 Le due guerre: da Naturalismo
e storicismo nell'etnologia (1941) a Il mondo magico (1948).
La lunga elaborazione del Mondo magico, che si può ricostruire
articolandola in diverse fasi. La lettura, avvenuta nel 1942, del libro
Psychomental complex of the Tungus (1935) di S. M. Shirokogoroff,
un lavoro dedicato allo sciamanesimo dei Tungusi siberiani, influenza de
Martino, che passa a esaminare il tema dei poteri magini non più
tanto in termini della loro 'realtà', quanto della loro 'efficacia',
in relazione a ogni contesto culturale. Lo sciamano viene visto come un
tecnico, che gestisce una situazione ritualmente ordinata e miticamente
fondata: non è una situazione di caos, di disordine, di disgregazione,
ma di lotta per evitare il caos, il disordine, la disgregazione, e per riconquistare
ordine ed equilibrio. La teoria della crisi della presenza è elaborata
negli anni della clandestinità (1943-1944), mentre de Martino è
sfollato con la famiglia a Cotignola (paese della suocera), in Emilia, ed
è presentata nella parte centrale del libro, "Il dramma storico
del mondo magico". Alla fine di questa seconda parte de Martino sostiene
l'inadeguatezza delle categorie dello storicismo crociano a comprendere
il magismo etnologico, e ne denuncia il carattere di metodologia limitata
alla civiltà occidentale, espressione di un 'umanesimo circoscritto'.
Rispetto a questa 'storicizzazione delle categorie' de Martino farà
poi autocritica, così come abbandonerà l'idea di un modo magico
come età storica definita. Non abbandonerà invece la critica
all'umanesimo circoscritto, e anzi la approfondirà, fino a teorizzare
l'esigenza di un 'umanesimo etnografico', un umanesimo maturo e universale,
frutto della trasformazione della civiltà occidentale grazie allo
shock dell'incontro e del confronto con i popoli coloniali non europei e
con le classi subalterne dei paesi occidentali. |
martedì
31 ottobre
audio della lezione:
prima parte
seconda
parte |
Ancora due notazioni
su Modo magico:
- per Fabio Dei e Alessandro Simonicca ("Il
fittizio lume della magia", 1997) nel libro del 1948 troviamo
"il de Martino più vicino al relativismo", quello più
interessato al "tema della realtà come costruzione culturalmente
condizionata"
- per Carlo Ginzburg quel libro di de Martino fa parte di un piccolo gruppo
di "libri
dell'anno zero", che alcuni autori italiani (de Martino, Carlo
Levi), tedeschi (Horkheimer, Adorno) e francesi (Bloch, Caillois) elaborarono
tra il 1939 e il 1944, quando larga parte parte dell'Europa era controllata
dai nazisti, e si annunciava la fine di un mondo (o del mondo).
Pietro Angelini, Ernesto de Martino, cap. 2 Gli anni del sole a
picco: siamo all'incirca tra il 1946 e il 1958. 1) Le figure: Carlo Levi,
Rocco Scotellaro, Antonio Gramsci; 2) Gli eventi: il contatto diretto
con i 'subalterni' (per la via della politica e poi per quella dell'etnografia),
la presenza nel sistema editoriale/culturale, l'avvio dell'inserimento
nell'Università, la nuova vita a Roma con Vittoria De Palma, 3)
I temi: il "folklore progressivi" 4) I metodi: "storicizzare"
5) i saggi principali: "Intorno a una storia del mondo popolare subalterno"
(1949), "Note lucane" (1950), "Note di viaggio" (1953),
"Etnologia e cultura nazionale negli ultimi dieci anni" (1953).
La discussione sul concetto di 'civiltà contadina': Cristo si
è fermato a Eboli (1945) di Levi, Contadini del Sud
(1954) di Scotellaro, le posizioni di Manlio Rossi-Doria.
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venerdì
3 novembre
audio della lezione:
prima parte
seconda
parte |
[in risposta a una
domanda della volta precedente sulle diverse posizioni delle varie forze
politiche sulla questione meridionale, nel dopoguerra: cenni sul quadro
e gli schieramenti politici, sui diversi provvedimenti di legge, sui movimenti
di occupazione delle terre, sulla nuova emigrazione dall'Italia del Sud
verso quella del Nord e verso altri paesi europei].
De Martino e
il Cristo si è fermato a Eboli.
Letture antropologiche del libro di Levi cinquanta anni dopo la sua uscita:
Pietro Clemente ("Oltre
Eboli: la magia dell'etnografo") e Daniel Fabre ("Passioni
e conoscenza nel Cristo si è fermato a Eboli").
I saggi principali di de Martino negli 'anni del sole a picco': "Intorno
a una storia del mondo popolare subalterno" (1949), "Note lucane"
(1950), "Note di viaggio" (1953), "Etnologia e cultura
nazionale negli ultimi dieci anni" (1953); differenze e aspetti in
comune. Si ricorda che i saggi di de Martino sono disponibili sul sito
della Associazione Internazionale Ernesto de Martino http://www.ernestodemartino.it/
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martedì
7 novembre
audio della lezione:
prima parte
seconda
parte |
Ancora
su Carlo Levi: rispetto alla stesura, nel 1944, di Cristo si è
fermato a Eboli l'equivalente delle note di campo, dei taccuini (strumenti
di lavoro fondamentali per gli etnologi, de Martino compreso) furono per
lui i quadri che dipinse tra il 1935 e il 1936 a Grassano e Aliano, in cui
vediamo paesaggi e personaggi di cui parlerà nel libro. Questi quadri
furono esposti in varie occasioni, in Italia e altrove, a partire dal 1936.
Carlo Levi e la Lucania. Dipinti del confino 1935-1936 (Roma, De
Luca 1990) è il catalogo di una ampia mostra antologica che si è
tenuta a Mesola (provincia di Ferrara) tra il 28 ottobre e il 2 dicembre
1990.
Pietro Angelini, Ernesto de Martino, cap. 3 Dal campo al libro: la
spedizione etnologica in Basilicata dell'ottobre 1952. De Martino compie
oltre 10 viaggi in Basilicata nell'arco di dieci anni, tra il 1949 e il
1959, visitando 30 località diverse (alcune per più volte).
Notizie dettagliate sui viaggi di de Martino, sulle pubblicazioni collegate
e su altri autori che hanno lavorato sulla Basilicata nello stesso periodo
si trovano qui: Scheda 1 -
La Lucania, de Martino e gli altri: temi di studio e indicazioni bibliografiche
[12/06/2006]; Scheda 2 - Ernesto
de Martino in Lucania: 1949-1959 [12/06/2006]; Scheda 3 - Ernesto
de Martino in Lucania: l'itinerario del settembre-ottobre 1952 [16/07/2006];
Scheda 4a - Presenze
in Lucania 1935-1959 (mappa e tabelle) [24/07/2006]; Scheda 4b - Presenze
in Lucania 1935-1959 (tabella estesa) [24/07/2006].
Preparazione, impostazione e contesto della spedizione dell'ottobre 1952.
Consonanze e differenze con l'attenzione neorealista per i subalterni e
per le periferie. Sperimentazione del lavoro in équipe. L'importanza
della documentazione fotografica e delle registrazioni sonore: le figure
di Franco Pinna e Diego Carpitella. Lo schema unificante per la ricerca
dell'ottobre 1952 fu basato su indicazioni metodologiche 'classiche' ricavate
dall'opera di Arnold Van Gennep: i riti di passaggio che segnano la vita
umana 'dalla culla alla bara'. Le direttrici di indagine principalmente
sviluppate furono due: canti ed espressività vocale (compresa la
lamentazione fuebre) e pratiche magiche. |
venerdì
10 novembre
audio della
lezione |
Pietro Angelini, Ernesto
de Martino, cap. 3 Dal campo al libro. I riti di passaggio di Van
Gennep de Martino li reinterpreta come forme del divenire storico. Temi
demartiniani: l'angoscia della storia, il rapporto tra storia e metastoria,
il ricorso alla magia come protezione nei confronti di una storia che
angoscia. Il confronto con Mircea Eliade e il suo Le mythe de l'éternel
retour (1949): de Martino raccoglie con interesse le sollecitazioni
a riflettere sul rapporto con la storia nelle società tradizionali,
ma rifiuta la teoria complessiva in cui quelle sollecitazioni si inseriscono:
per de Martino nelle società tradizionali (nel mondo popolare subalterno)
non c'è rifiuto della storia, c'è il ricorso a tecniche
rituali per sospenderne temporaneamente il corso quando l'insorgere di
crisi esistenziali lo richiede (destorificazione del negativo): tecniche
sofisticate e complesse, dotate di una loro contestuale efficacia, che
rimandano ad articolati complessi mitici e simbolici, ma comunque nient'altro
che strategie di aggiramento della storia, drammaticamente precarie perché
comunque la storia è "più forte dei tentativi umani
di evadere da essa", dice de Martino in "Note di viaggio".
E non solo occupandosi di magia de Martino interpreta le sue pratiche
come tecniche di salvezza della presenza non DALLA storia ma NELLA storia,
per continuare ad esserci in qualche modo, ma nelle sue ricerche
e nei suoi interventi è proprio interessato a raccogliere e sottolineare
le manifestazioni, nel mondo popolare subalterno, della volontà
di essere presenti nella storia da protagonisti (è a questo che
rimanda la tematica del 'folklore progressivo').
"L'ethos trascendendentale del trascendimento della vita nella valorizzazione
intersoggettiva, il rischio della caduta di quest'ethos, la tensione fra
compito del trascendimento e minaccia del movimento di opposto segno verso
l'annientamento: in questo dramma sta l'umano" (La fine del mondo
(brano 401).
Il tempo etico; l'unificazione culturale del genere umano (nesso con analoghe
espressioni di Antonio Gramsci).
[la seconda ora è stata dedicata alla discussione di varie domande]
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martedì
14 novembre
audio della lezione:
prima
parte
seconda
parte (incompleta) |
Amalia
Signorelli, Ernesto De Martino. Teoria antropologica e metodologia della
ricerca, Introduzione e cap. 1.
Amalia Signorelli (1934-2017) fu allieva di de Martino e nel 1957 si laureò
con lui, che teneva corsi come libero docente di Etnologia all'Università
di Roma. Per la tesi fece una ricerca sul campo nel 1956 a San Cataldo (Potenza)
e il tema era l'applicabilità alla situazione italiana dell'antropologia
culturale di matrice statunitense. L'anno dopo, nel 1958, fu tra gli autori
(con Liliana Bonacini Seppilli, Romano Calisi, Guido Cantalamessa Carboni,
Tullio Seppilli, Tullio Tentori) del documento L’antropologia culturale
nel quadro delle scienze dell'uomo. Appunti per un memorandum, presentato
al Congresso nazionale di Scienze sociali di Milano. Nel 1959 de Martino
la chiamò a far parte dell'équipe di ricerca che lavorò
in Salento sul tarantismo. Dopo questa ricerca Signorelli lasciò
Roma e la collaborazione con de Martino non ebbe sviluppi ulteriori, né,
nella successiva lunga attività di studiosa, Signorelli svolse ricerche
di argomento o taglio 'demartiniani'. Cionondimeno ha sempre operato, ha
compreso dopo, da 'demartiniana inconsapevole', all'insegna dello 'scandalo
dell'incontro etnografico' e dello 'ethos del trascendimento'. Questo libro
del 2015 intende riflettere sull'opera di Ernesto de Martino per valutare
in che termini da essa si possa trarre una teoria antropologica coerente
e caratteristica, e quanto e come questa teoria possa essere utile nel mondo
e per l'antropologia contemporanei.
Cap. 1: Antropologia orientata da valori, antropologia libera da valori.
La ricerca e la riflessione teorica di de Martino non erano e non intendevano
essere 'libere da valori'. Anzi, si può riconoscere lo sforzo di
de Martino di produrre una epistemologia e una etica dell'incontro etnografico
e del lavoro antropologico, che identifica nella idea di un nuovo e universale
umanesimo etnografico. Tre sono le tappe principali della elaborazione di
questa teoria: la critica del naturalismo etnologico e dei limiti del pensiero
occidentale (Naturalismo e storicismo nell'etnologia, Il mondo
magico), la sperimentazione del lavoro etnografico con i contadini lucani,
la riflessione teorica avviata per la ricerca su La fine del mondo. |
venerdì
17 novembre
audio della lezione:
prima
parte
seconda
parte |
Amalia Signorelli,
Ernesto De Martino. Cap. 2: Il significato umano degli accadimenti.
Teoria antropologica e pratica etnografica (cioè 'problema' e 'documento'),
sono entrambe indispensabili per il lavoro antropologico. La pratica etnografica
può consentire di 'cogliere il punto di vista dei nativi': il significato
e il valore che il loro agire ha per i portatori di una cultura. Ma la
pratica etnografica ha necessità di ipotesi teoriche che la orientino.
Le fonti per la formazione di de Martino sono state filosofiche, più
che antropologiche, e si può dire che nel suo pensiero sia rimasto
costante l'orientamento storicista.
Centrale nello storicismo di de Martino è il tema della coscienza
storica, quella che consente di riconoscere il divenire storico e darne
conto. La coscienza incorporata nelle res gestae, cioè nell'azione
efficace, è presente sempre nelle attività umane (è
presente anche nell'attività del "cacciatore del paleolitico
superiore"); la capacità di riconoscere culturalmente il divenire
storico, di tracciare la historia rerum gestarum, è propria
della sola cultura Occidentale.
La coscienza storica è radicata nel presente, è capacità
di stare nel momento presente della storia in modo critico e consapevole
(a differenza della condizione di "stare nella storia come se non
ci si stesse"), è capacità di orientarsi e di agire
secondo progetti e secondo valori: la storia (delle cose fatte, res
gestae) è funzione del progetto (delle cose da farsi, res
condendae).
Adolfo Omodeo e poi Benedetto Croce furono punti di riferimento teorici
nella formazione del giovane de Martino, ma anche Vittorio Macchioro,
che rafforzò in lui la convinzione della centralità dell'esperienza
religiosa in ogni cultura, e forse fu all'origine dell'interesse (del
fascino) per ciò che, nella condizione umana, il logos (la
razionalità) non sa spiegare e padroneggiare compiutamente (il
magismo, il paranormale). Ma poi ancora il dialogo con Raffaele Pettazzoni,
la lettura di Levi, di Gramsci, di Heidegger, di Abbagnano, di Paci, di
Husserl.
C'è chi in questa ampiezza e varietà di riferimenti ha voluto
individuare comunque una costanza di riferimento all'idealismo crociano,
come Giuseppe Galasso e Gennaro Sasso; c'è chi l'ha invece valutata
come una forma di eclettismo (Cesare Cases, Clara Gallini, Pietro Angelini).
Per Signorelli la flessibilità teorica di de Martino è piuttosto
la caratteristica del suo storicismo, che sta nel non assolutizzare gli
assunti teorici, rivedendoli continuamente in funzione dei concreti problemi
storici affrontati (mettendosi così in grado di rispondere a un
problema del lavoro antropologico, in cui l'empiria etnografica spesso
eccede le ipotesi teoriche di partenza). Per definire questo approccio
demartiniano Signorelli propone la nozione di 'utilitarismo teorico',
che lei vede consonante con quelle di 'storicismo ibridato' proposta da
Riccardo Di Donato e di 'antropologia molecolare' proposta da Giovanni
Pizza (che mette in relazione lo stile intellettuale di de Martino con
quello di Antonio Gramsci).
Il procedimento che de Martino chiama "rigenerare mentalmente le
pretese umane", da cui sono nate le istituzioni culturali via via
indagate (magismo, tarantismo, ecc.) si vale sia del contributo dell'etnografia,
con la ricostruzione del 'punto di vista del nativo', sia del lavoro teorico
di anamnesi storiografica.
Il rapporto natura/cultura, l'origine e la destinazione interamente umane
dei beni culturali e il significato umano degli accadimenti sono tre aspetti
fondativi dell'antropologia demartiniana, e si può dire che ne
disegnino rispettivamente l'origine, il perimetro e l'oggetto.
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martedì
21 novembre
audio della lezione:
prima
parte
seconda
parte |
Amalia
Signorelli, Ernesto De Martino. Cap. 3: Presenza e crisi della presenza.
La discussione di Signorelli sul concetto di 'presenza' nell'opera di de
Martino si articola in tre passaggi: cosa è la presenza, cosa significa
la crisi della presenza, come si risolve la crisi. La nozione di 'presenza',
di esserci nel mondo, de Martino la elabora a partire dal concetto
di Dasein (esserci) di Martin Heidegger. Differenza fondamentale
da questo è la sottolineatura demartiniana dell'aspetto di 'attività'
di questo esserci umano nel mondo, che è un 'dover esserci',
una primordiale e universale spinta all'oltrepassamento della datità,
alla produzione di cultura (mondanizzazione) e non solo un 'poter esserci'
(mondità). Il rischio dell'affievolirsi o spegnersi di questa spinta,
il rischio del suo insuccesso, sono sempre presenti, e sono ciò che
può mettere in crisi la presenza. Ma normalmente, abitualmente, questa
spinta si produce, ha successo, e produce sicurezza, 'agevole abitudine'
nell'essere al mondo. La storia umana non è mai garantita, ma pure
c'è, si dà, e la 'presenza' ne è l'autrice.
De Martino ha studiato le manifestazioni di crisi della presenza sia dal
punto di vista individuale sia da quello collettivo: la crisi colpisce gli
individui, ma le sue manifestazioni e le reazioni che si mettono in opera
per affrontarla si danno sempre nel quadro di una cultura, e si esplicano
nelle modalità proprie di quella cultura, condivise dalla comunità.
De Martino affronta il tema anche in termini di possibili manifestazioni
psicopatologiche, e per questo nelle sue ricerche ha voluto la collaborazione
di psicologi e psichiatri come Giovanni Jervis, Letizia Comba, Emilio Servadio,
ma la prospettiva che ha privilegiato è stata quella dell'indagine
su fatti di cultura, da svolgersi con approccio antropologico e storico-religioso.
Il rapporto tra 'sanità' e 'patologia' non è dualista (o si
è sani o si è malati), ma dinamico: l'essere sani è
in realtà un 'farsi' (e mantenersi) sani, che coincide con l'esserci,
col saperci esserci come manifestazione di un doverci essere che ha successo,
che funziona, che produce 'sicurezza' e storia. Se e quando questo va in
crisi, si produce patologia (anche per cause somatiche, beninteso, ed è
compito anche della medicina intervenire). |
venerdì
24 novembre
audio della lezione:
prima
parte
seconda
parte |
Amalia Signorelli,
Ernesto De Martino. Cap. 3: Presenza e crisi della presenza. Quali
fattori ostacolano la possibilità di 'farsi' (e mantenersi) sani?
Diversi sono i fattori che de Martino individua nell'esperienza dei contadini
meridionali, ma la riflessione della Fine del mondo allarga poi
il discorso all'esperienza umana in quanto tale: de Martino parlerà
di 'negativo dell'esistenza', che può riferirsi a ogni accadimento
e darsi in ogni condizione esistenziale, e che si attiverebbe in modo
culturalmente determinato: "ogni cultura ha costruito una sua mappa
delle crisi possibili, stabilendo qual è la gravità di ciascuna
di esse, quali sono i soggetti più esposti, qual è la procedura
della reintegrazione" (Signorelli, p. 83).
Pratiche magiche, esorcismi, ritualizzazioni non sono manifestazioni di
crisi della presenza, ma (inizi di) cura: "queste pratiche sono già
reintegrative della presenza, sono vie d'uscita verso la 'sanità',
e dunque sono cultura" (Signorelli, p. 84). Sono tecniche funzionali
alla lotta contro il 'negativo dell'esistenza', necessarie per l'attivazione
di quel meccanismo che de Martino chiama 'destorificazione del negativo':
il negativo dell'esistenza si presenta nella storia, nella quotidianità
realmente vissuta, e quando non si riesce ad afffrontarlo e a superarlo
con le soluzioni razionali e realistiche che sono usualmente efficaci
e sufficienti, si ricorre a una uscita temporanea dalla storia, culturalmente
controllata. "Il dato esistenziale che ha scatenato la crisi (morte,
malattia, paura e altro ancora) viene mentalmente astratto dal contesto
storico per entro il quale è stato esperito e viene ricondotto
a un tempo e a una vicenda mitici, un illud tempus nel quale esso
si è manifestato per la prima volta e per la prima volta ha trovato
una soluzione soddisfacente. [...] E' necessario però rendere presenti,
presentificare nella situazione reale, le condizioni che si sono date
in illo tempore nella situazione mitica, ed è questo il
compito che il rito è chiamato ad assolvere. Il mito è una
narrazione, il rito è un comportamento tecnico standardizzato orientato
verso uno scopo; in un certo senso si potrebbe dire un comportammento
tecnico collaudato" (Signorelli, p. 85). Il dispositivo di destorificazione
del negativo (mito+rito) consente di costruire un regime protetto, una
realtà parallela, che è una realtà simbolica, una
dimensione in cui, grazie ai simboli (che sono qualcosa "che 'sta
per' qualcosa d'altro"), si può dare spazio anche a ciò
che c'è di "irrazionale nei pensieri e nei comportamenti umani".
Ciò a cui mira innanzitutto la destorificazione del negativo è
il controllo dell'angoscia umana: "non è il negativo che ci
assilla o ci minaccia a essere risolto: è la crisi della presenza
a essere posta sotto controllo [...] attraverso l'esorcismo mitico-rituale.
Esso garantisce la possibilità di tornare a operare, di affrontare
'realisticamente' il negativo 'reale': certo, non necessariamente di risolverlo.
Ma come tutti sappiamo per esperienza, il risultato 'reale' non è
l'unico risultato che in questi contesti importa raggiungere" (Signorelli,
p. 87). Va infine sottolineato che tutto ciò non riguarda (solo)
tempi e luoghi lontani, ma anche il qui e l'oggi: "Nelle società
contemporanee che si pretendono secolarizzate, la destorificazione del
negativo attraverso il simbolismo magico-religioso non è affatto
scomparsa: è addirittura integrata e rafforzata da una ricca fioritura
di linguaggi simbolici che investono gli ambiti dell'economico [...],
del politico [...], della ricreazione e del tempo libero [...]" (Signorelli,
p. 87-88) .
Amalia Signorelli, Ernesto De Martino. Cap. 4: Il problema e il
documento. Sul lavoro di campo di Ernesto de Martino. Non ci sono teorizzazioni
sistematiche di de Martino sul metodo della ricerca di campo, ma si può
ragionarne a partire dai numerosi spunti che offrono i suoi scritti e
analizzando la ampia documentazione proveniente dal suo archivio, pubblicata
in anni recenti presso l'editore Argo di Lecce. Per tutte le sue principali
'spedizioni' sono stati pubblicati documenti preparatori, note di campo,
prime rielaborazioni e sistemazioni dei dati etnografici: Note di campo.
Spedizione in Lucania, 30 sett.-31 ott. 1952 (a cura di Clara Gallini,
1995); L'opera a cui lavoro. Apparato critico e documentario alla Spedizione
etnologica in Lucania (a cura di Clara Gallini, 1996); Ricerca
sui guaritori e la loro clientela (a cura di Adelina Talamonti, 2008);
Etnografia del tarantismo pugliese. I materiali della spedizione nel
Salento del 1959 (a cura di Amalia Signorelli e Valerio Panza, 2011).
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martedì
28 novembre
audio della lezione:
prima
parte
seconda
parte |
Amalia Signorelli,
Ernesto De Martino. Cap. 4: Il problema e il documento. Sul lavoro
di campo di Ernesto de Martino. Tecniche e metodi dell'etnografia demartiniana
ruotano attorno ai due binomi concettuali e operativi di problema-documento
e spedizione-équipe. Le ricerche sul campo di de Martino sono state
successivamente criticate perché poggiate su soggiorni brevi e
rivolte a luoghi vicini. Chiarito che de Martino non studiava 'comunità'
locali ma istituti culturali (tarantismo, lamentazione funebre, magia),
va detto che nell'Italia del dopoguerra c'erano forti differenziazioni
tra città e campagna, tra culture e ceti egemoni e culture e ceti
subalterni (tanto che Alberto M. Cirese parlerà di 'dislivelli
interni' di cultura), e dunque l'etnologia sul nostro meridione poteva
incontrare una notevole densità di alterità culturali. Tarantismo,
lamentazione funebre e magia non sono per de Martino residui di un lontano
passato, che hanno attraversato inalterati il tempo; queste 'persistenze'
culturali sono da un lato tutt'ora efficaci nel contesto culturale in
cui ad esse si fa ricorso, dall'altro segnano il limite della capacità
espansiva della cultura egemone (per esempio del cattolicesimo ufficiale).
Tante sono state le tecniche di raccolta di dati che le équipe
di de Martino impiegavano sul terreno, tanti e tanto diversi i documenti
che venivano raccolti e archiviati: la convinzione del carattere e della
destinazione interamente umane dei beni cuturali conferiva valore e interesse
a tutto ciò che i gruppi umani producevano nella loro vita culturale,
e tutto poteva concorrere a intendere il significato umano degli accadimenti.
Quest'ultimo però era tutt'altro che univoco e universalmente condiviso.
Il significato che etnologicamente e storiograficamente ricostruivano
i ricercatori era diverso da quello coscientemente vissuto dalle popolazioni
studiate. Questo problema era già chiaro a de Martino ai tempi
di Mondo magico, ma lì la soluzione era da un lato in termini
di riconoscimento del carattere culturalmete costruito del 'reale', che
dunque poteva non essere sempre lo stesso 'reale' nelle diverse culture,
dall'altro nell'avocare alla sola coscienza moderna la capacità
di concettualizzazione e determinazione del significato storiografico
della magia.
Nel confronto etnografico, storico, politico con i viventi e vicini contadini
meridionali, non poteva funzionare l'idea di un mondo (magico) a sé
stante, con caratteristiche sue proprie. Ne sarebbe conseguita una visione
del mondo contadino come entità culturalmente separata dal resto
della nazione, e questo era quanto veniva semmai attribuito a Carlo Levi.
Dunque, fa notare Fabio Dei nella Introduzione alla edizione Donzelli
di Sud e magia, quando de Martino abbandonava le posizioni espresse
nel Mondo magico sulla 'storicizzazione delle categorie', più
che impoverire il suo discorso teorico lo liberava dall'ipoteca di vincolanti
e ingombranti opzioni filosofiche e lo rendeva flessibilmente capace di
confrontarsi con la realtà (culturale, sociale, politica) del nostro
Meridione. Certo, va anche notato che cambiava, rispetto a Mondo magico,
anche l'approccio al concetto di 'realtà dei poteri magici': in
Sud e magia non se ne parla più, non si parla più
di 'realtà' culturalmente condizionata, e il libro si chiude con
una presa di posizione netta sul rapporto tra magia e ragione: "Anche
per le genti meridionali si tratta di abbandonare lo sterile abbraccio
con i cadaveri della loro storia, e di dischiudersi a un destino eroico
più alto e moderno di quello che pur fu loro nel passato: un destino
che non sia una fantastica città del sole da fondare tra le montagne
di Calabria, ma una civile città terrena unicamente affidata all’ethos
dell’opera umana, e cospirante con le altre città terrene di cui
è disseminata questa vecchia Europa e il mondo intero che dell’Europa
è figlio. Nella misura in cui questo avverrà sarà
ricacciato nei suoi confini il regno delle tenebre e delle ombre – la
corrente Oceano dell’episodio omerico –, e impallidirà anche il
fittizio lume della magia, col quale uomini incerti in una società
insicura surrogano, per ragioni pratiche di esistenza, l’autentica luce
della ragione."
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venerdì
1 dicembre
audio della lezione:
prima parte
seconda
parte |
Qualche valutazione
sulla irruzione di skinheads, il 29 novembre scorso, nella sede di Rete
Como Senza Frontiere.
Dell'Introduzione di Fabio Dei e Antonio Fanelli all'edizione da loro
curata (Roma. Donzelli, 2015) di Sud e magia [sono disponibili
l'Indice,
la Premessa,
l'Introduzione],
possiamo sottolineare qualche spunto critico. L'abbandono di una idea
di 'mondo magico' come età storica che è funzionale all'impegno
etnografico nel meridione italiano (se ne è parlato nella lezione
precedente). Lo 'scandalo' duplice del nesso Sud-magia: scandalo in senso
demartiniano ("Per scandalo si deve intendere un fenomeno o un evento
che, nel momento in cui cerchiamo di comprenderlo, scardina le nostre
certezze e ci costringe a mettere in discussione le categorie usuali del
nostro pensiero") e scandalo in senso generale, perché un
approccio di rinnovato meridionalismo che fa spazio all'attenzione per
il contesto sociale, economico e politico dentro il discorso storico-religioso,
e per il fatto magico-religioso dentro il discorso politico-economico,
non risultava ben accetto alle impostazioni usuali né in ambito
accademico né in ambito politico. Per de Martino, invece, "Il
problema della comprensione della magia, ovvero del ripensamento del concetto
di ragione umana alla luce della diversità culturale,
e il problema dell’emancipazione dei ceti subalterni meridionali, sono
facce di una stessa medaglia", e questo si sostanzia nel tenere insieme,
nell'analisi storica ed etnologica dei fatti di cultura, l'aspetto alto
e quello basso, il colto e il popolare, non considerandoli mai separati
e separabili: "Sta qui il succo dell’impostazione gramsciana, appunto,
secondo la quale il piano egemonico e quello
subalterno possono essere compresi solo tenendoli strettamente in relazione
l’uno con l’altro". Sta in questa impostazione, per Dei, "il
senso profondo della sua operazione storicista [...]. L’idea, vale a dire,
che la cultura popolare non è costituita da un repertorio più
o meno stabile di tratti arcaici da raccogliere e classificare, e magari
trasformare in forme di patrimonio culturale: ma nel frutto sempre provvisorio
di una storia di relazioni di potere, di interazioni fra il piano egemonico
e quello subalterno". Una impostazione che però non ha avuto
molti sviluppi successivi, negli studi antropologici italiani, soprattutto
per il confronto poco approfondito (salvo eccezioni) con i problemi posti
agli studi sulla cultura popolare dallo sviluppo delle comunicazioni di
massa, sia dal lato della produzione sia da quello della fruizione dei
nuovi prodotti culturali ad esse collegati.
Tre fasi nell'avvicinamento di de Martino alla realtà lucana: l'influenza
di Cristo si è fermato a Eboli di Levi, che esce nel 1945;
l'incontro con Rocco Scotellaro (1949-1950); i sopralluoghi e le spedizioni
condotte in autonomia con le sue équipe di ricerca (1952-1959).
Quattro, all'ingrosso, le tipologie di lavoro intellettuale che si incrociano
in Lucania negli anni '50 (per un quadro complessivo, si ricordino le
schede Presenze
in Lucania 1935-1959 (mappa e tabelle) [24/07/2006] e Presenze
in Lucania 1935-1959 (tabella estesa) [24/07/2006]):
- esploratori e documentatori autonomi: Henri Cartier-Bresson, Federico
Patellani, Fosco Maraini
- studi di comunità, interventi sul territorio: Friedrich Friedmann,
George Peck, Edward Banfield (in relazione con Manlio Rossi-Doria, Carlo
Levi, Rocco Scotellaro, Rocco Mazzarone; Adriano Olivetti, Ludovico Quaroni
e il progetto di Borgo La Martella a Matera)
- gli studi di Giovanni Battista Bronzini, nativo di Matera, allievo di
Paolo Toschi, improntati a una rigorosa folkloristica di stampo classico
- de Martino e le sue équipe
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martedì
5 dicembre
audio della lezione:
prima parte
seconda
parte |
Ernesto
de Martino, Sud e magia. Nella Prefazione de Martino ricorda che
"L’alternativa fra «magia» e «razionalità»
è uno dei grandi temi da cui è nata la civiltà moderna",
ed è in questo contesto che colloca la sua ricerca sulla magia lucana,
che mira a offrire "alcuni spunti indicativi e programmatici per la
determinazione della misura e dei limiti in cui la vita culturale del sud
ha partecipato consapevolmente a questa grande alternativa della civiltà
moderna". La prima parte del libro ("Magia lucana") è
dedicata ai risultati dell'esplorazione etnografica "delle sopravvivenze
lucane delle più rozze pratiche
di magia cerimoniale"; la seconda parte mette in relazione "queste
sopravvivenze e la forma egemonica di vita religiosa, cioè il cattolicesimo
nelle sue particolari accentuazioni magiche meridionali": "ne
risulta un panorama a prima vista estremamente disgregato, contraddittorio,
punteggiato da coesistenze assurde: e tuttavia, a un più attento
esame, si renderà palese il tema unitario che tiene insieme elementi
così eterogenei, e cioè la richiesta di protezione psicologica
di fronte alla straordinaria potenza del negativo nella vita quotidiana";
nella terza parte del libro, infine, "si analizza la partecipazione
dell’alta cultura meridionale alla polemica antimagica da cui è nata
la civiltà moderna", partecipazione che presenta limiti "istruttivi",
che tra l'altro hanno prodotto la "formazione di una ideologia di compromesso
che, del tutto irrilevante dal punto di vista teorico, esercitò a
Napoli una notevole influenza nell’ambito pratico del costume: la ideologia
della jettatura, che non è la cupa fascinazione medievale o dell’epoca
dei processi contro le streghe, né la fascinazione della magia naturale,
ma una formazione di compromesso di origine colta, e che si attiene ad una
disposizione psicologica fra seria e faceta, scrupolosa e scettica".
In generale, "l’immediato collegarsi della rozza «magia lucana»
con i vari momenti critici dell’esistenza, e il suo inserirsi al livello
più basso in una serie di gradi e di raccordi che mette capo al culto
cattolico, costituiscono una preziosa opportunità per studiare in
concreto la dinamica magico-religiosa di una società determinata".
La prima parte di Sud e magia, quella etnografica, si articola in
sette capitoli, i primi sei dei quali sono basati largamente sulla elaborazione
dei dati raccolti nella spedizione dell'ottobre del 1952, che toccò
dodici località., mentre il settimo trae origine da quelli raccolti
ad Albano di Lucania tra il maggio e il giugno del 1957 (si vedano Scheda
2 - Ernesto
de Martino in Lucania: 1949-1959 [12/06/2006]; Scheda 3 - Ernesto
de Martino in Lucania: l'itinerario del settembre-ottobre 1952 [16/07/2006]).
1. La fascinazione; 2. Fascinazione ed eros; 3. La rappresentazione magica
della malattia; 4. Infanzia e fascinazione; 5. La fascinazione del latte
materno; 6. La tempesta |
martedì
12 dicembre
audio della lezione:
prima
parte
seconda
parte |
L'ultimo capitolo
della parte etnografica di Sud e magia è Vita magica di
Albano. La spedizione del 1957, il ruolo di Emilio Servadio. Le fotografie
di Ando Gilardi (pubblicate in I viaggi nel Sud di Ernesto de Martino.
Fotografie di Arturo Zavattini, Franco Pinna e Ando Gilardi. A cura
di Clara Gallini, Francesco Faeta Torino, Bollati Boringhieri, 1999; reperibili
anche on line sul sito della Fototeca Storica Nazionale Ando Gilardi http://archivio.fototeca-gilardi.com/home
). Il mago Giuseppe Calvani, zio Giuseppe, detto Ferramosca. I racconti
degli abitanti di Albano di Lucania, riportati da de Martino, vertono
su esperienze di sonnambulismo, incontri con i morti, messe dei morti,
possessioni, legamenti notturni: esperienze che denotano una diffusa labilità
della presenza, in cui "l’esperienza di dominazione [...] è
da interpretare innanzitutto come esperienza di una presenza individuale
che non riesce a farsi presente, e che perciò si dibatte, ed esteriorizza
in varia guisa sia l’attentato subìto sia la resistenza ad esso".
Si hanno "vicende oniroidi che realizzano in immagini e movimenti
reali una fondamentale esperienza di dominazione": "la visione
oniroide mimata (con un «personaggio» che recita tutte le
parti, o con due personaggi), la introduzione di corrispondenti modificazioni
nella realtà, la possibilità di un completo oblio dell’esperienza
psichica vissuta e la integrazione della vicenda con le rappresentazioni
della fascinazione, della fattura, delle maciare e della controfattura
stanno a nostro avviso alla base di molti episodi ricorrenti nella vita
magica di Albano."
La seconda parte del libro è titolata "Magia, cattolicesimo,
alta cultura": la interpretazione teorica dei dati etnografici (svolta
nei capitoli 1. Crisi della presenza e protezione magica; 2. L’orizzonte
della crisi; 3. La destorificazione del negativo), infatti, necessariamente
deve saldarsi alla rilettura storica dei rapporti della magia lucana con
il cattolicesimo e l'alta cultura meridionali, perché solo così,
per de Martino, si potrà avere una visione insieme completa e storicamente
individuata della questione. Magia, cattolicesimo e alta cultura stanno
come tre elementi non separabili della vita culturale meridionale, in
rapporti non egualitari tra loro, certo (la magia essendo culturalmente
e socialmente subalterna), ma comunque intrecciati e reciprocamente influenzantisi,
secondo dinamiche e modalità che de Martino studia e ricostruisce,
approssimandosi in modo progressivo a una comprensione sempre più
esatta del fenomeno magico in un luogo e in un momento dati.
"Se ci chiediamo quali sono le ragioni che fanno ancora sopravvivere
una ideologia così arcaica nella Lucania di oggi, la risposta più
immediata è che tuttora in Lucania un regime arcaico di esistenza
impegna ancora larghi strati sociali, malgrado la civiltà moderna"
: "l'immensa potenza del negativo lungo tutto l’arco della vita individuale,
col suo corteo di traumi, scacchi, frustrazioni, e la correlativa angustia
e fragilità di quel positivo per eccellenza che è l’azione
realisticamente orientata in una società che «deve»
essere fatta dall’uomo e destinata all’uomo, di fronte a una natura che
«deve» essere senza sosta umanata dalla demiurgia della cultura:
ecco – si dirà – la radice della magia lucana, come di ogni altra
forma di magia".
Tutto questo è vero, ma non basta. Resta generico, e porta a una
concezione della magia come semplice aberrazione.
Un passo avanti si fa se ci si chiede quale sia il "significato psicologico"
della connessione tra i "temi della forza magica, della fascinazione,
della possessione, della fattura e dell’esorcismo" e la potenza del
negativo quotidiano nel regime esistenziale lucano: "questo significato
psicologico mette in luce un negativo più grave di qualsiasi mancanza
di un bene particolare: mette in luce il rischio che la stessa presenza
individuale si smarrisca come centro di decisione e di scelta, e naufraghi
in una negazione che colpisce la stessa possibilità di un qualsiasi
comportamento culturale".
Riprendendo gli esempi di "labilità della presenza" riportati
nella prima parte del libro, e aggiungendone altri, stralciati "dal
nostro taccuino di viaggio", de Martino commenta: "ora in queste
condizioni di labilità della presenza si innesta la funzione p
r o t e t t i v a delle pratiche magiche. La magia lucana è un
insieme di tecniche socializzate e tradizionalizzate rivolte a proteggere
la presenza dalle crisi di
«miseria psicologica» e a ridischiudere mediatamente – cioè
in virtù di tale protezione – le potenze operative realisticamente
orientate". E prosegue: "Piano realistico e piano magico della
tecnica non
entrano in contraddizione soggettiva fra di loro perché la magia
non ha propriamente per oggetto, come la tecnica profana, la soppressione
di questo o quel negativo, ma la protezione della presenza dai rischi
della crisi esistenziale di fronte alle manifestazioni del negativo. Finché
sussiste il bisogno di protezione il conflitto non ha luogo; ovvero resta
puramente ideale e oratorio: qui sta la ragione per cui il piano magico
si mantiene sostanzialmente «impermeabile all’esperienza»,
e cioè sia agli insuccessi delle pratiche magiche, sia alla constatazione
che i successi accompagnano più frequentemente i comportamenti
realistici che non quelli magici" (e qui de Martino inserisce una
lunga e importante nota al testo, in cui argomenta come sia "da respingere
nettamente la interpretazione della impermeabilità magica all’esperienza
come espressione di una «mentalità primitiva»",
perché "qualsiasi società umana appartiene alla storia
nella misura in cui dispiega comportamenti razionali realisticamente orientati";
così come è "da respingere ogni teoria che intenda
fondare la magia sulla realtà dei cosiddetti «poteri magici»":
"non si nega quindi che una pratica magica possa p. es. agevolare
il buon esito di una battuta di caccia, ma nessuna civiltà poté
mai rinunziare a cacciare realmente: e i cacciatori del paleolitico non
hanno mai optato per i soli disegni magici di animali con frecce fitte
nelle carni").
Infine de Martino enuncia l'articolazione delle modalità di protezione
magica, che argomenterà nei due capitoli seguenti: "la protezione
magica, così come emerge dal materiale relativo alla magia
lucana, si effettua mercé la istituzione di un piano metastorico
che assolve a due distinte funzioni protettive. Innanzi tutto tale piano
fonda un orizzonte rappresentativo stabile e tradizionalizzato nel quale
la varietà rischiosa delle possibili crisi individuali trova il
suo momento di arresto, di configurazione, di unificazione e di reintegrazione
culturali. Al tempo stesso il piano metastorico funziona come luogo di
«destorificazione» del divenire, cioè come luogo in
cui, mediante la iterazione di identici modelli operativi, può
essere di volta in volta riassorbita la proliferazione storica dell’accadere,
e quivi amputata del suo negativo attuale e possibile"; e dunque
"in virtù del piano metastorico come o r i z z o n t e d e
l l a c r i s i e come lu o g o d i d e s t o r i f i c a z i o n e d
e l d i v e n i r e si instaura un regime protetto di esistenza, che per
un verso ripara dalle irruzioni caotiche dell’inconscio e per un altro
verso getta un velo sull’accadere e consente di «stare nella storia
come se non ci si stesse»".
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venerdì
15 dicembre
audio della lezione:
prima
parte
seconda
parte |
L'articolazione
del piano metastorico, come lo propone de Martino nei capitoli 2. L’orizzonte
della crisi e 3. La destorificazione del negativo, potremmo schematizzarlo
così:
piano
metastorico |
(spiegazione
dei) sintomi
+
diagnosi |
orizzonte
rappresentativo della crisi, basato sulla "ideologia
della forza magica, della fascinazione, della possessione, della fattura
e dell’esorcismo" e sulla esperienza di essere-agito-da; è
un quadro stabile, socializzato e tradizionalizzato, che "opera
come strumento di arresto di configurazione e di unificazione della
varietà delle possibili crisi individuali della presenza dinanzi
al dispiegarsi della potenza del negativo" |
cura |
destorificazione
del negativo, "dell’accadere in quanto negativo attuale o possibile";
la magia lucana usa "la tecnica fondamentale del «così-come»,
con la quale il «così» di un certo concreto aspetto
negativo e di un corrispondente desiderio di eliminazione viene ritualmente
riassorbito in una esemplarità mitica risolutiva";
il rito (la recitazione dello scongiuro, gli atti che alla
recitazione si devono accompagnare, ecc.) ripete e attualizza il mito
esemplare, in cui "tutto è già deciso nel senso
desiderato"; si costruisce così "un regime protetto
di esistenza, nel quale la prospettiva negativa è cancellata
in virtù di un come mitico", il cui modello va
ritualmente iterato e attualizzato, seguendo le interdizioni prescritte
o valendosi delle riparazioni previste |
La seconda parte di
Sud e magia mostra all'opera il metodo storicista demartiniano,
che combina la interpretazione teorica dei dati etnografici con la loro
reintegrazione nel concreto contesto culturale a cui appartengono, mediante
la indagine storica sul ruolo che in questo contesto giocano diverse forze
sociali e culturali. Queste forze, nel caso specifico, sono richiamate
nel titolo stesso della seconda parte del libro: magia, cattolicesimo
e alta cultura. Esse sono considerate nello loro specificità ma
anche nella loro interazione e integrazione; di esse si tiene ben presente
la gerarchia che distingue chi e e cosa è egemone da chi e cosa
è subalterno, ma si tengono presenti anche i fenomeni di circolazione
culturale che disegnano non un quadro statico ma dinamico di queste interazioni.
L'analisi demartiniana procede per affinamenti progressivi, proponendo
spiegazioni del fenomeno magico via via più circostanziate:
- prima il nesso tra ideologia arcaica (quella della bassa magia cerimoniale
lucana) e regime arcaico di esistenza (quello dei contadini lucani ancora
nel secondo dopoguerra)
- poi il significato psicologico che ha il ricorso alla magia, di protezione
contro l'immensa potenza del negativo dell'esistenza, che fa correre il
"il rischio che la stessa presenza individuale si smarrisca come
centro di decisione e di scelta, e naufraghi in una negazione che colpisce
la stessa possibilità di un qualsiasi comportamento culturale"
- infine tutta la "serie di rapporti e di raccordi e di momenti intermedi
che fa da ponte alle forme egemoniche di cultura" (cioè il
cattolicesimo e l'alta cultura urbana), che colloca la magia lucana nel
quadro della vita culturale meridionale, come fenomeno appunto 'vivo',
e non 'sopravvivenza' inerte e isolata.
Va sottolineato che in questa parte del libro de Martino affida ad alcune
note al testo lo svolgimento e lo sviluppo di aspetti importanti del suo
discorso. Si segnalano in particolare la nota 3 ("È da respingere
nettamente la interpretazione della impermeabilità magica all’esperienza
come espressione di una «mentalità primitiva» [...]
È altresì da respingere ogni teoria che intenda fondare
la magia sulla realtà dei cosiddetti «poteri magici»
[...]"), la nota 21 ("[...] Occorre appena avvertire che, da
un punto di vista storicistico, tutta questa sistemazione è priva
di senso per la semplice ragione che esclude apriori, per motivi religiosi,
la possibilità che il «diavolo» sia un prodotto culturale
umano da risolvere senza residuo nel dramma delle singole civiltà
religiose. [...]") e la nota 32 ("Ogni altro tentativo di determinare
il rapporto magia-religione in base ad una interpretazione della esperienza
del sacro che rompa il reale nesso dialettico di questo rapporto, ed esalti
una pura religione senza traccia di magia o condanni una pura magia senza
traccia di religione, appartiene alla polemica confessionale [...]").
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martedì
19 dicembre
audio della lezione:
prima
parte
seconda
parte |
La "serie di
rapporti e di raccordi e di momenti intermedi che fa da ponte alle forme
egemoniche di cultura" (cioè il cattolicesimo e l'alta cultura
urbana) viene analizzata da de Martino negli ultimi quattro capitoli della
seconda parte di Sud e magia: 5. Magia lucana e cattolicesimo meridionale,
6. Illuminismo napoletano e jettatura, 7. Sensibilità romantica,
polemica protestante e jettatura, 8. Regno di Napoli e jettatura.
Esempi di questi raccordi sono dati dalla diffusissima presenza negli
scongiuri della bassa magia cerimoniale di elementi propri della religione
cattolica, e de Martino sottolinea come "queste manifestazioni di
sincretismo e di riadattamento" fossero dovute alla "influenza
diretta o indiretta" dello stesso clero cattolico. E ancora: "Altri
raccordi fra magia e forma egemonica di vita religiosa sono palesi nel
cattolicesimo popolare, nelle preghiere private extraliturgiche, nel culto
delle reliquie, nel corso dei pellegrinaggi ai santuari mariani di Viggiano,
di Pierno, di Picciano, di Fonni, nelle guarigioni miracolose, e in quant’altro
riflette nell’area lucana la particolare accentuazione di «esteriorità»,
di «paganesimo» o di «magia» del cattolicesimo
meridionale".
Il nesso magia-religione è tale che i due elementi si dispongono
agli estremi di una linea di continuità; esse non sono realtà
separate, né storicamente né teoricamente: "la «magia»
per quanto attenuata e resasi mediatrice di alti valori (almeno per coloro
che sono in grado di riviverli), non scompare mai del tutto, poiché
– a considerare la cosa dal punto di vista teorico generale, e al di fuori
di ogni polemica confessionale – le religioni per «elevate»
che siano, se sono davvero religioni e non soltanto vita morale o conoscenza
o poesia dispiegate e fatte autonome nella coscienza, racchiudono sempre
un nucleo mitico-rituale, una «esteriorità» o «vistosità»
pubbliche, una tecnica magica in atto, per quanto affinata e sublimata";
"senza dubbio vi è una immensa distanza culturale che divide
l’esorcismo extracanonico della «magia lucana» dal sacrificio
della messa: ma tale distanza concerne unicamente il grado di complessità
del tecnicismo magico e la qualità e il grado di autonomia dei
valori mediati. Lo scongiuro extracanonico della magia lucana è
un orizzonte mitico che si riferisce ad una crisi esistenziale definita,
ed è uno strumento di destorificazione per un aspetto circoscritto
del negativo: il valore che media non va molto oltre, come si è
detto, dalla generica sicurezza morale generata dall’affrontare tale circoscritto
modo del negativo come se esso fosse già riassorbito nel mito
risolutore. Il sacrificio della messa dà invece orizzonte a un
numero indefinito di possibili crisi individuali in rapporto ai più
diversi momenti critici dell’esistenza, e al tempo stesso destorifica
tutto ciò che, nel divenire storico, può assumere l’aspetto
di negativo, in primo luogo nell’ordine morale del «peccato »
(di qualsiasi peccato) e in secondo luogo nell’ordine fisico della malattia
(di qualunque malattia) [...] il sacrificio della messa sta agli scongiuri
extracanonici come – e non sembri fuor di luogo il paragone – una calcolatrice
elettronica sta al pallottoliere dei bambini" (e in nota de Martino
aggiunge: "L’unico legittimo significato della distinzione fra magia
e religione concerne l’elevatezza dei valori mediati, il grado di consapevolezza
e di autonomia di questi valori, la loro compenetrazione nel tecnicismo
mitico-rituale onde comparativamente diciamo religione una esperienza
del sacro in cui i valori mediati sono elevati e complessi, ad alto livello
di consapevolezza e di autonomia, e compenetranti mito e liturgia").
L'allargamento di contesto che porta dalla magia lucana al cattolicesimo
(meridionale) prosegue con l'esame di alcune caratteristiche storiche
dell'alta intellettualità (meridionale), nel quadro di una ricostruzione
di una "storia religiosa del sud". Viene dunque indagato "un
processo definito, e cioè la trasformazione della fascinazione
tradizionale in quel prodotto ideologico e di costume che verso la fine
del ’700 ebbe origine a Napoli e che da Napoli si diffuse nel resto d’Italia
sotto il nome di jettatura", e questo viene fatto "al fine di
misurare certi limiti della partecipazione della cultura meridionale alla
consapevole opzione compiuta dalla civiltà moderna a favore della
razionalità, contro la magia". Nicola Valletta, autore della
Cicalata sul fascino, volgarmente detto jettatura (1787), era un
giurista, allievo di Antonio Genovesi (esponente tra i maggiori della
cultura illuministica napoletana), eppure la sua opera dipinge un mondo
che è il contrario di quello ordinato, stabile e prodotto dell'umano
operare razionale, un mondo in cui tutto può andare di traverso:
la Cicalata segna il "riconoscimento di una fondamentale immodificabile
irrazionalità nel corso delle cose umane, sino al punto di farsi
giuoco dello slancio fiducioso dell’epoca delle riforme". Su Valletta
e sulla Cicalata de Martino corregge il giudizio di Croce, che
riteneva che "l’autore credesse alla jettatura solo per finzione
letteraria": per de Martino invece "non si tratta [...] di finzione
letteraria che serba sul piano dello scherzo frivolo ciò in cui
più non si crede, ma piuttosto di un espediente psicologico che,
in tempi non più adatti a trattare certi argomenti come cose serie,
finge a sé e agli altri di trattarli come scherzosi, consentendo
in tal modo di non rinunziare completamente ad una ideologia e ad un comportamento
nei quali, «in fondo», ancora si crede". Sul piano storico
la Cicalata è "un documento saliente, e in certo senso
inaugurale, di un nuovo costume che si diffuse dapprima nel centro colto
della Napoli del ’700, che guadagnò poi altri ceti sociali, e che
si diffuse fuori di Napoli in tutta l’Italia meridionale e con minore
intensità anche a nord della penisola". Sul piano dell'atteggiamento
psicologico, della disposizione d'animo, la Cicalata fissava e
legittimava il «non è vero, ma ci credo», il «non
si sa mai»; sul piano dei contenuti "fu lo scritto del Valletta
a condurre innanzi nell’ambiente napoletano il già da tempo avviato
processo di disgregazione folklorica del fascino come seria credenza magica,
di magia cerimoniale o naturale che fosse; ma, al tempo stesso, fu lo
scritto del Valletta che decisamente concorse a fermare il processo a
mezza strada, in un compromesso psicologico caratteristico rispetto all’ambito
del diversamente orientato «costume» illuministico europeo",
un compromesso pratico fra credenze antiche e tempi nuovi, tra l'antica
fascinazione e il razionalismo settecentesco. Il tratto più caratteristico
della ideologia napoletana della jettatura è la combinazione colta
di scetticismo e di credulità, per cui "il «potere malefico
inconsapevole» che procede da determinate persone assume il significato
specifico di un’antitesi semiseria alla ragione umana come riformatrice
dell’ordine naturale, sociale e morale; l’jettatore appare infatti l’uomo
del disordine assoluto in queste tre sfere, ed è al tempo stesso
l’uomo dell’occulto e dell’inconscio, che nel secolo dei lumi smentisce
tutti i lumi del secolo, inducendo a ricorrere ad amuleti e scongiuri".
Questa ideologia della jettatura mostra dunque i limiti dell'alta intellettualità
napoletana settecentesca, che non riuscì a "vivere in tutta
serietà la alternativa tra magia e ragione". Questo si spiega
con il contesto sociale ed economico del Regno di Napoli, per definire
il quale de Martino cita Croce: "il carattere col quale la storia
del mezzogiorno immediatamente si presenta è quello di «una
storia che non è storia, di un processo che non è un processo
perché ad ogni passo interrotto e sconvolto»". Più
che parlare di una storia del sud, si deve parlare di una "non-storia
del sud", si deve rilevare "la straordinaria potenza del negativo
nella storia del sud: una potenza reale, che si manifesta nella relativa
angustia delle res gestae nel dominio economico e politico, e quindi
nella notata difficoltà di scrivere una corrispondente historia
rerum gestarum": "il limite in re che il moto illuministico
anglo-francese trovava a Napoli era dato dalla mancanza di una borghesia
dei traffici e delle industrie vigorosa e consolidata come classe economica
in ascesa, nel quadro di uno stato nazionale in espansione". Dunque
"qui si inserisce il particolare rilievo che assumono, nel sud, il
ricorso alle tecniche protettive della bassa magia, la accentuazione magica
del cattolicesimo, la molteplicità dei raccordi intermedi magico-religiosi,
il largo spirito di compromesso, la scarsa capacità d’espansione
della cultura di vertice; e proprio qui si inserisce il fatto che alla
alternativa fra magia demonologica e magia naturale il pensiero meridionale
partecipò in modo decisivo con i Bruno e i Campanella, ma non così
alla alternativa tra magia e scienza della natura, che nel mezzogiorno
restò senza contributi di rilievo": "il ritardo di sviluppo
sul piano economico e politico, cioè sul piano dell’impiego profano
della potenza tecnica dell’uomo, rendeva ancora psicologicamente attuale
il ricorso alle tecniche cerimoniali del momento magico, in funzione protettiva
della presenza individuale costretta a mantenersi in un mondo in cui tutto
«va di traverso»".
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