SAPIENZA Università di Roma - Facoltà di Lettere e Filosofia
Corso di laurea in Storia, Antropologia, Religioni - a.a. 2017/2018

Eugenio Testa

Discipline DEA IV - Ernesto de Martino, il Sud, la magia
(codice 1023967) - 6 CFU -
M-DEA/01 Discipline demoetnoantropologiche

 

ANNO DI CORSO: 2 - SEMESTRE: 1
CdL: Storia, Antropologia, Religioni - L 42 - codice 15943
CURRICULUM: Teorie e pratiche dell'antropologia - secondo anno

CONTENUTI
A oltre cinquanta anni dalla morte di Ernesto de Martino (1908-1965) il dialogo con il suo lavoro prosegue fecondo negli studi antropologici italiani, come testimoniano studi recenti e nuove edizioni critiche delle sue opere. E' questo il caso, ad esempio, della nuova edizione di Sud e magia, uscito nel 1959, al termine del ricchissimo decennio di ricerche in Lucania, e da poco oggetto di una nuova edizione a cura di Fabio Dei e Antonio Fanelli, arricchita di un ampio saggio introduttivo e di molti documenti; ed è il caso di uno studio di Amalia Signorelli, che riflette in termini complessivi sul lavoro teorico e su quello etnografico di de Martino

OBIETTIVI FORMATIVI
Il corso intende fornire rapide ma non sommarie indicazioni utili a una contestualizzazione della figura di de Martino, e gli strumenti critici utili a un confronto diretto con le sue ricerche, insieme a uno sguardo su prospettive di studio attuali, che rileggono il lavoro demartiniano in relazione all'analisi di dinamiche culturali contemporanee.

PROGRAMMA D'ESAME
1) Ernesto de Martino, Sud e magia. Edizione speciale con le fotografie originali di F. Pinna, A. Gilardi e A. Martin e con l'aggiunta di altri testi e documenti del cantiere etnologico lucano. A cura di Fabio Dei e Antonio Fanelli. Roma, Donzelli, 2015 [prima edizione: 1959]
2) Pietro Angelini, Ernesto de Martino. Roma, Carocci, 2008
3) Amalia Signorelli, Ernesto De Martino. Teoria antropologica e metodologia della ricerca. Roma, L'asino d'oro, 2015

CALENDARIO DELLE LEZIONI: martedì 17.00 - 19.00 (Aula A di Storia medievale, II piano);
venerdì 13.00 - 15.00 (Aula A di Storia medievale, II piano)

INIZIO DELLE LEZIONI: martedì 17 ottobre 2017 (termine previsto: martedì 19 dicembre 2017)

 


San Costantino Albanese (Potenza), maggio-giugno 1957. Da sinistra: Emilio Servadio, Ernesto de Martino, una informatrice, Vittoria De Palma, Mario Pitzurra. Fotografia di Ando Gilardi (in Clara Gallini, Francesco Faeta, a cura di, I viaggi nel Sud di Ernesto de Martino. Fotografie di Arturo Zavattini, Franco Pinna e Ando Gilardi. Torino, Bollati Boringhieri, 1999, p. 242)

ESAMI:
SESSIONE INVERNALE
Martedì 23 gennaio 2018 (ore 9.30-12.30) Aula Paleografia; Martedì 6 febbraio 2018 (ore 11-14) Aula A Studi Storico Religiosi; Martedì 20 febbraio 2018 (ore 11-14) Aula A Studi Storico Religiosi

SESSIONE STRAORDINARIA (riservata agli studenti fuori corso, ripetenti, lavoratori, estesa ai laureandi)
Mercoledì 18 aprile 2018 (ore 11-14) Aula Bonaiuti

SESSIONE ESTIVA
Martedì 12 giugno 2018 (ore 11-14) Aula Paleografia; Martedì 26 giugno 2018 (ore 9.30-12.30) Aula Paleografia; Martedì 10 luglio 2018 (ore 9.30-12.30) Aula Paleografia

SESSIONE AUTUNNALE
Martedì 11 settembre 2018 (ore 9.30-12.30) Aula Paleografia; Martedì 25 settembre 2018 (ore 11-14) Aula Paleografia

SESSIONE STRAORDINARIA (riservata agli studenti fuori corso, ripetenti, lavoratori, estesa ai laureandi)
Lunedì 10 dicembre 2018 (ore 11-14) Aula Bonaiuti

SESSIONE INVERNALE a.a. 2018-2019
Martedì 22 gennaio 2019 (ore 11-14) Aula Paleografia

NOTE: L'esame sarà scritto, con alcune domande a risposta aperta sui principali argomenti trattati nei testi in programma.
E' prevista per gli studenti frequentanti la possibilità di svolgere esercitazioni di scrittura su temi trattati nel corso. Le esercitazioni saranno facoltative, verranno esaminate e discusse individualmente e non influiranno sulla valutazione finale.
Non ci sono differenze di programma per studenti frequentanti e non.
Questo esame è attivo anche per gli studenti del corso di laurea triennale in Filosofia (con la denominazione Antropologia Culturale I A, codice 1024127) e per gli studenti del corso di laurea triennale in Studi Storico-Artistici (con la denominazione Antropologia Culturale, codice 1015318, canalizzazione alfabetica per cognomi dalla N alla Z).
Questo esame è valido per il conseguimento dei 24 cfu del percorso FIT, con una qualsiasi delle tre denominazioni (e dei relativi codici).

NOTA BENE: La preparazione dell'esame deve essere basata sullo studio attento dei tre testi in programma. I materiali didattici resi di seguito disponibili (registrazioni delle lezioni, sunto degli argomenti trattati nelle medesime) intendono costituire un ausilio alla comprensione dei testi d'esame e NON ne sostituiscono lo studio diretto.

LEZIONI: argomenti trattati, materiali utilizzati, opere citate:

martedì 17 ottobre 2017

audio della lezione:
prima parte
seconda parte

Presentazione del corso: i testi d'esame; le esercitazioni di scrittura per i frequentanti; possibile laboratorio su Cristo si è fermato a Eboli (1945) di Carlo Levi e su Contadini del Sud (1954) di Rocco Scotellaro.
Cenni di biografia: i principali luoghi della vita di Ernesto de Martino (Napoli, 1 dicembre 1908 - Roma, 6 maggio 1965) sono state le città di Napoli, Bari, Roma e Cagliari, dove ha vissuto e si è formato e ha scritto e insegnato, e la Basilicata e il Salento dove ha fatto ricerca sul campo (si veda una cronologia essenziale).

venerdì 20 ottobre

audio della lezione:
prima parte
seconda parte

L'Istituto Ernesto de Martino per la conoscenza critica e la presenza alternativa del mondo popolare e proletario: http://www.iedm.it/
L'Associazione Internazionale Ernesto de Martino: http://www.ernestodemartino.it/ (nella sezione Archivio del sito dell'Associazione sono disponibili tutti i testi pubblicati da Ernesto de Martino, tranne le opere in volume).
Su YouTube si trovano materiali audio e video originali collegati al lavoro e alle ricerche di de Martino, e materiali recenti come filmati relativi alle presentazioni del libro di Amalia Signorelli Ernesto De Martino al convegno del maggio 2016 presso l'Istituto dell'Enciclopedia Italiana "De Martino antropologo del mondo contemporaneo".
Pietro Angelini, Ernesto de Martino, cap. 1 Le due guerre: da Naturalismo e storicismo nell'etnologia (1941) a Il mondo magico (1948). Naturalismo e storicismo: la crisi della civiltà europea; l'inadeguatezza teorica dell'etnologia classica e la pigrizia della filosofia tradizionale; il codice dell'etnonogia storicista; anamnesi storiografica: decronologizzazione e delocalizzazione del concetto di 'primitivo'; nel discorso critico demartiniano il compito assegnato all'etnologia storicista resta interno alla civiltà occidentale culta: "l'etnologia deve illuminare la storia della civiltà occidentale, e deve concorrere, per quel che le spetta, a dare incremento e consapevolezza al nostro essere e al nostro dover essere".

martedì 24 ottobre

audio della lezione:
prima parte
(incompleta)

seconda parte

Pietro Angelini, Ernesto de Martino, cap. 1 Le due guerre: da Naturalismo e storicismo nell'etnologia (1941) a Il mondo magico (1948). Con Il mondo magico de Martino inizia a realizzare il progetto di riforma dell'etnologia in senso storicista che aveva avviato con Naturalismo e storicismo: se quest'ultimo era un libro 'sull'etnologia', Il mondo magico è già, pienamente, un libro 'di etnologia', anche se basato su resoconti e saggi altrui e non su ricerche etnografiche svolte personalmente dall'autore, come avverrà in seguito.
Il tema scelto è quello della magia, centrale non solo nella vita delle comunità 'primitive', ma anche per la storia della stessa civiltà europea, che emerge nella sua fisionomia razionale e critica anche dal superamento di quella magia naturale che per due secoli, tra il '400 e il '600, ha accompagnato lo svilupparsi del pensiero scientifico moderno.
La seconda parte della lezione è stata dedicata alla risposta a una domanda sul tema dell'etnocentrismo critico demartiniamo, anche in confronto con posizioni e proposte metodologiche diverse (Malinowski, Lévi-Strauss).
[riferimenti citati: definizioni di cultura, etnocentrismo, relativismo in A. M. Cirese, Cultura egemonica e culture subalterne (1973); Francesco Remotti su Lèvi-Strauss Il secolo di Lévi-Strauss (2008), e su Lévi-Strauss e de Martino Per il centenario di Lévi-Strauss. Cosa ci ha insegnato anche in tema di laicità (2008); George W. Stocking su Malinowski La magia dell'etnografo (1984)]

venerdì 27 ottobre

audio della lezione:
prima parte
seconda parte
Il 25 ottobre 2017 è morta Amalia Signorelli. La rivista Left l'ha ricordata ripubblicando sul suo sito il testo di una intervista del 2015, realizzata in occasione della pubblicazione di Ernesto De Martino. Teoria antropologica e metodologia della ricerca. La figura e il lavoro di Signorelli sono stati ricordati efficacemente da Fabio Dei con un articolo su il Manifesto. Ricordiamo che Amalia Signorelli è l'ultima degli antropologi italiani scomparsi nel corso del 2017: Giulio Angioni, Clara Gallini, Antonino Buttitta, Ugo Fabietti, Tullio Seppilli l'avevano preceduta, tra gennaio e agosto.
Pietro Angelini, Ernesto de Martino, cap. 1 Le due guerre: da Naturalismo e storicismo nell'etnologia (1941) a Il mondo magico (1948). La lunga elaborazione del Mondo magico, che si può ricostruire articolandola in diverse fasi. La lettura, avvenuta nel 1942, del libro Psychomental complex of the Tungus (1935) di S. M. Shirokogoroff, un lavoro dedicato allo sciamanesimo dei Tungusi siberiani, influenza de Martino, che passa a esaminare il tema dei poteri magini non più tanto in termini della loro 'realtà', quanto della loro 'efficacia', in relazione a ogni contesto culturale. Lo sciamano viene visto come un tecnico, che gestisce una situazione ritualmente ordinata e miticamente fondata: non è una situazione di caos, di disordine, di disgregazione, ma di lotta per evitare il caos, il disordine, la disgregazione, e per riconquistare ordine ed equilibrio. La teoria della crisi della presenza è elaborata negli anni della clandestinità (1943-1944), mentre de Martino è sfollato con la famiglia a Cotignola (paese della suocera), in Emilia, ed è presentata nella parte centrale del libro, "Il dramma storico del mondo magico". Alla fine di questa seconda parte de Martino sostiene l'inadeguatezza delle categorie dello storicismo crociano a comprendere il magismo etnologico, e ne denuncia il carattere di metodologia limitata alla civiltà occidentale, espressione di un 'umanesimo circoscritto'.
Rispetto a questa 'storicizzazione delle categorie' de Martino farà poi autocritica, così come abbandonerà l'idea di un modo magico come età storica definita. Non abbandonerà invece la critica all'umanesimo circoscritto, e anzi la approfondirà, fino a teorizzare l'esigenza di un 'umanesimo etnografico', un umanesimo maturo e universale, frutto della trasformazione della civiltà occidentale grazie allo shock dell'incontro e del confronto con i popoli coloniali non europei e con le classi subalterne dei paesi occidentali.
martedì 31 ottobre

audio della lezione:
prima parte
seconda parte

Ancora due notazioni su Modo magico:
- per Fabio Dei e Alessandro Simonicca ("Il fittizio lume della magia", 1997) nel libro del 1948 troviamo "il de Martino più vicino al relativismo", quello più interessato al "tema della realtà come costruzione culturalmente condizionata"
- per Carlo Ginzburg quel libro di de Martino fa parte di un piccolo gruppo di "libri dell'anno zero", che alcuni autori italiani (de Martino, Carlo Levi), tedeschi (Horkheimer, Adorno) e francesi (Bloch, Caillois) elaborarono tra il 1939 e il 1944, quando larga parte parte dell'Europa era controllata dai nazisti, e si annunciava la fine di un mondo (o del mondo).
Pietro Angelini, Ernesto de Martino, cap. 2 Gli anni del sole a picco: siamo all'incirca tra il 1946 e il 1958. 1) Le figure: Carlo Levi, Rocco Scotellaro, Antonio Gramsci; 2) Gli eventi: il contatto diretto con i 'subalterni' (per la via della politica e poi per quella dell'etnografia), la presenza nel sistema editoriale/culturale, l'avvio dell'inserimento nell'Università, la nuova vita a Roma con Vittoria De Palma, 3) I temi: il "folklore progressivi" 4) I metodi: "storicizzare" 5) i saggi principali: "Intorno a una storia del mondo popolare subalterno" (1949), "Note lucane" (1950), "Note di viaggio" (1953), "Etnologia e cultura nazionale negli ultimi dieci anni" (1953).
La discussione sul concetto di 'civiltà contadina': Cristo si è fermato a Eboli (1945) di Levi, Contadini del Sud (1954) di Scotellaro, le posizioni di Manlio Rossi-Doria.

venerdì 3 novembre

audio della lezione:
prima parte
seconda parte

[in risposta a una domanda della volta precedente sulle diverse posizioni delle varie forze politiche sulla questione meridionale, nel dopoguerra: cenni sul quadro e gli schieramenti politici, sui diversi provvedimenti di legge, sui movimenti di occupazione delle terre, sulla nuova emigrazione dall'Italia del Sud verso quella del Nord e verso altri paesi europei].
De Martino e il Cristo si è fermato a Eboli.
Letture antropologiche del libro di Levi cinquanta anni dopo la sua uscita: Pietro Clemente ("Oltre Eboli: la magia dell'etnografo") e Daniel Fabre ("Passioni e conoscenza nel Cristo si è fermato a Eboli").
I saggi principali di de Martino negli 'anni del sole a picco': "Intorno a una storia del mondo popolare subalterno" (1949), "Note lucane" (1950), "Note di viaggio" (1953), "Etnologia e cultura nazionale negli ultimi dieci anni" (1953); differenze e aspetti in comune. Si ricorda che i saggi di de Martino sono disponibili sul sito della Associazione Internazionale Ernesto de Martino http://www.ernestodemartino.it/

martedì 7 novembre

audio della lezione:
prima parte
seconda parte
Ancora su Carlo Levi: rispetto alla stesura, nel 1944, di Cristo si è fermato a Eboli l'equivalente delle note di campo, dei taccuini (strumenti di lavoro fondamentali per gli etnologi, de Martino compreso) furono per lui i quadri che dipinse tra il 1935 e il 1936 a Grassano e Aliano, in cui vediamo paesaggi e personaggi di cui parlerà nel libro. Questi quadri furono esposti in varie occasioni, in Italia e altrove, a partire dal 1936. Carlo Levi e la Lucania. Dipinti del confino 1935-1936 (Roma, De Luca 1990) è il catalogo di una ampia mostra antologica che si è tenuta a Mesola (provincia di Ferrara) tra il 28 ottobre e il 2 dicembre 1990.
Pietro Angelini, Ernesto de Martino, cap. 3 Dal campo al libro: la spedizione etnologica in Basilicata dell'ottobre 1952. De Martino compie oltre 10 viaggi in Basilicata nell'arco di dieci anni, tra il 1949 e il 1959, visitando 30 località diverse (alcune per più volte). Notizie dettagliate sui viaggi di de Martino, sulle pubblicazioni collegate e su altri autori che hanno lavorato sulla Basilicata nello stesso periodo si trovano qui: Scheda 1 - La Lucania, de Martino e gli altri: temi di studio e indicazioni bibliografiche [12/06/2006]; Scheda 2 - Ernesto de Martino in Lucania: 1949-1959 [12/06/2006]; Scheda 3 - Ernesto de Martino in Lucania: l'itinerario del settembre-ottobre 1952 [16/07/2006]; Scheda 4a - Presenze in Lucania 1935-1959 (mappa e tabelle) [24/07/2006]; Scheda 4b - Presenze in Lucania 1935-1959 (tabella estesa) [24/07/2006].
Preparazione, impostazione e contesto della spedizione dell'ottobre 1952. Consonanze e differenze con l'attenzione neorealista per i subalterni e per le periferie. Sperimentazione del lavoro in équipe. L'importanza della documentazione fotografica e delle registrazioni sonore: le figure di Franco Pinna e Diego Carpitella. Lo schema unificante per la ricerca dell'ottobre 1952 fu basato su indicazioni metodologiche 'classiche' ricavate dall'opera di Arnold Van Gennep: i riti di passaggio che segnano la vita umana 'dalla culla alla bara'. Le direttrici di indagine principalmente sviluppate furono due: canti ed espressività vocale (compresa la lamentazione fuebre) e pratiche magiche.
venerdì 10 novembre

audio della lezione

Pietro Angelini, Ernesto de Martino, cap. 3 Dal campo al libro. I riti di passaggio di Van Gennep de Martino li reinterpreta come forme del divenire storico. Temi demartiniani: l'angoscia della storia, il rapporto tra storia e metastoria, il ricorso alla magia come protezione nei confronti di una storia che angoscia. Il confronto con Mircea Eliade e il suo Le mythe de l'éternel retour (1949): de Martino raccoglie con interesse le sollecitazioni a riflettere sul rapporto con la storia nelle società tradizionali, ma rifiuta la teoria complessiva in cui quelle sollecitazioni si inseriscono: per de Martino nelle società tradizionali (nel mondo popolare subalterno) non c'è rifiuto della storia, c'è il ricorso a tecniche rituali per sospenderne temporaneamente il corso quando l'insorgere di crisi esistenziali lo richiede (destorificazione del negativo): tecniche sofisticate e complesse, dotate di una loro contestuale efficacia, che rimandano ad articolati complessi mitici e simbolici, ma comunque nient'altro che strategie di aggiramento della storia, drammaticamente precarie perché comunque la storia è "più forte dei tentativi umani di evadere da essa", dice de Martino in "Note di viaggio". E non solo occupandosi di magia de Martino interpreta le sue pratiche come tecniche di salvezza della presenza non DALLA storia ma NELLA storia, per continuare ad esserci in qualche modo, ma nelle sue ricerche e nei suoi interventi è proprio interessato a raccogliere e sottolineare le manifestazioni, nel mondo popolare subalterno, della volontà di essere presenti nella storia da protagonisti (è a questo che rimanda la tematica del 'folklore progressivo').
"L'ethos trascendendentale del trascendimento della vita nella valorizzazione intersoggettiva, il rischio della caduta di quest'ethos, la tensione fra compito del trascendimento e minaccia del movimento di opposto segno verso l'annientamento: in questo dramma sta l'umano" (La fine del mondo (brano 401).
Il tempo etico; l'unificazione culturale del genere umano (nesso con analoghe espressioni di Antonio Gramsci).
[la seconda ora è stata dedicata alla discussione di varie domande]

martedì 14 novembre

audio della lezione:
prima parte
seconda parte (incompleta)
Amalia Signorelli, Ernesto De Martino. Teoria antropologica e metodologia della ricerca, Introduzione e cap. 1.
Amalia Signorelli (1934-2017) fu allieva di de Martino e nel 1957 si laureò con lui, che teneva corsi come libero docente di Etnologia all'Università di Roma. Per la tesi fece una ricerca sul campo nel 1956 a San Cataldo (Potenza) e il tema era l'applicabilità alla situazione italiana dell'antropologia culturale di matrice statunitense. L'anno dopo, nel 1958, fu tra gli autori (con Liliana Bonacini Seppilli, Romano Calisi, Guido Cantalamessa Carboni, Tullio Seppilli, Tullio Tentori) del documento L’antropologia culturale nel quadro delle scienze dell'uomo. Appunti per un memorandum, presentato al Congresso nazionale di Scienze sociali di Milano. Nel 1959 de Martino la chiamò a far parte dell'équipe di ricerca che lavorò in Salento sul tarantismo. Dopo questa ricerca Signorelli lasciò Roma e la collaborazione con de Martino non ebbe sviluppi ulteriori, né, nella successiva lunga attività di studiosa, Signorelli svolse ricerche di argomento o taglio 'demartiniani'. Cionondimeno ha sempre operato, ha compreso dopo, da 'demartiniana inconsapevole', all'insegna dello 'scandalo dell'incontro etnografico' e dello 'ethos del trascendimento'. Questo libro del 2015 intende riflettere sull'opera di Ernesto de Martino per valutare in che termini da essa si possa trarre una teoria antropologica coerente e caratteristica, e quanto e come questa teoria possa essere utile nel mondo e per l'antropologia contemporanei.
Cap. 1: Antropologia orientata da valori, antropologia libera da valori. La ricerca e la riflessione teorica di de Martino non erano e non intendevano essere 'libere da valori'. Anzi, si può riconoscere lo sforzo di de Martino di produrre una epistemologia e una etica dell'incontro etnografico e del lavoro antropologico, che identifica nella idea di un nuovo e universale umanesimo etnografico. Tre sono le tappe principali della elaborazione di questa teoria: la critica del naturalismo etnologico e dei limiti del pensiero occidentale (Naturalismo e storicismo nell'etnologia, Il mondo magico), la sperimentazione del lavoro etnografico con i contadini lucani, la riflessione teorica avviata per la ricerca su La fine del mondo.
venerdì 17 novembre

audio della lezione:
prima parte
seconda parte

Amalia Signorelli, Ernesto De Martino. Cap. 2: Il significato umano degli accadimenti.
Teoria antropologica e pratica etnografica (cioè 'problema' e 'documento'), sono entrambe indispensabili per il lavoro antropologico. La pratica etnografica può consentire di 'cogliere il punto di vista dei nativi': il significato e il valore che il loro agire ha per i portatori di una cultura. Ma la pratica etnografica ha necessità di ipotesi teoriche che la orientino.
Le fonti per la formazione di de Martino sono state filosofiche, più che antropologiche, e si può dire che nel suo pensiero sia rimasto costante l'orientamento storicista.
Centrale nello storicismo di de Martino è il tema della coscienza storica, quella che consente di riconoscere il divenire storico e darne conto. La coscienza incorporata nelle res gestae, cioè nell'azione efficace, è presente sempre nelle attività umane (è presente anche nell'attività del "cacciatore del paleolitico superiore"); la capacità di riconoscere culturalmente il divenire storico, di tracciare la historia rerum gestarum, è propria della sola cultura Occidentale.
La coscienza storica è radicata nel presente, è capacità di stare nel momento presente della storia in modo critico e consapevole (a differenza della condizione di "stare nella storia come se non ci si stesse"), è capacità di orientarsi e di agire secondo progetti e secondo valori: la storia (delle cose fatte, res gestae) è funzione del progetto (delle cose da farsi, res condendae).
Adolfo Omodeo e poi Benedetto Croce furono punti di riferimento teorici nella formazione del giovane de Martino, ma anche Vittorio Macchioro, che rafforzò in lui la convinzione della centralità dell'esperienza religiosa in ogni cultura, e forse fu all'origine dell'interesse (del fascino) per ciò che, nella condizione umana, il logos (la razionalità) non sa spiegare e padroneggiare compiutamente (il magismo, il paranormale). Ma poi ancora il dialogo con Raffaele Pettazzoni, la lettura di Levi, di Gramsci, di Heidegger, di Abbagnano, di Paci, di Husserl.
C'è chi in questa ampiezza e varietà di riferimenti ha voluto individuare comunque una costanza di riferimento all'idealismo crociano, come Giuseppe Galasso e Gennaro Sasso; c'è chi l'ha invece valutata come una forma di eclettismo (Cesare Cases, Clara Gallini, Pietro Angelini). Per Signorelli la flessibilità teorica di de Martino è piuttosto la caratteristica del suo storicismo, che sta nel non assolutizzare gli assunti teorici, rivedendoli continuamente in funzione dei concreti problemi storici affrontati (mettendosi così in grado di rispondere a un problema del lavoro antropologico, in cui l'empiria etnografica spesso eccede le ipotesi teoriche di partenza). Per definire questo approccio demartiniano Signorelli propone la nozione di 'utilitarismo teorico', che lei vede consonante con quelle di 'storicismo ibridato' proposta da Riccardo Di Donato e di 'antropologia molecolare' proposta da Giovanni Pizza (che mette in relazione lo stile intellettuale di de Martino con quello di Antonio Gramsci).
Il procedimento che de Martino chiama "rigenerare mentalmente le pretese umane", da cui sono nate le istituzioni culturali via via indagate (magismo, tarantismo, ecc.) si vale sia del contributo dell'etnografia, con la ricostruzione del 'punto di vista del nativo', sia del lavoro teorico di anamnesi storiografica.
Il rapporto natura/cultura, l'origine e la destinazione interamente umane dei beni culturali e il significato umano degli accadimenti sono tre aspetti fondativi dell'antropologia demartiniana, e si può dire che ne disegnino rispettivamente l'origine, il perimetro e l'oggetto.

martedì 21 novembre

audio della lezione:
prima parte
seconda parte
Amalia Signorelli, Ernesto De Martino. Cap. 3: Presenza e crisi della presenza. La discussione di Signorelli sul concetto di 'presenza' nell'opera di de Martino si articola in tre passaggi: cosa è la presenza, cosa significa la crisi della presenza, come si risolve la crisi. La nozione di 'presenza', di esserci nel mondo, de Martino la elabora a partire dal concetto di Dasein (esserci) di Martin Heidegger. Differenza fondamentale da questo è la sottolineatura demartiniana dell'aspetto di 'attività' di questo esserci umano nel mondo, che è un 'dover esserci', una primordiale e universale spinta all'oltrepassamento della datità, alla produzione di cultura (mondanizzazione) e non solo un 'poter esserci' (mondità). Il rischio dell'affievolirsi o spegnersi di questa spinta, il rischio del suo insuccesso, sono sempre presenti, e sono ciò che può mettere in crisi la presenza. Ma normalmente, abitualmente, questa spinta si produce, ha successo, e produce sicurezza, 'agevole abitudine' nell'essere al mondo. La storia umana non è mai garantita, ma pure c'è, si dà, e la 'presenza' ne è l'autrice.
De Martino ha studiato le manifestazioni di crisi della presenza sia dal punto di vista individuale sia da quello collettivo: la crisi colpisce gli individui, ma le sue manifestazioni e le reazioni che si mettono in opera per affrontarla si danno sempre nel quadro di una cultura, e si esplicano nelle modalità proprie di quella cultura, condivise dalla comunità. De Martino affronta il tema anche in termini di possibili manifestazioni psicopatologiche, e per questo nelle sue ricerche ha voluto la collaborazione di psicologi e psichiatri come Giovanni Jervis, Letizia Comba, Emilio Servadio, ma la prospettiva che ha privilegiato è stata quella dell'indagine su fatti di cultura, da svolgersi con approccio antropologico e storico-religioso. Il rapporto tra 'sanità' e 'patologia' non è dualista (o si è sani o si è malati), ma dinamico: l'essere sani è in realtà un 'farsi' (e mantenersi) sani, che coincide con l'esserci, col saperci esserci come manifestazione di un doverci essere che ha successo, che funziona, che produce 'sicurezza' e storia. Se e quando questo va in crisi, si produce patologia (anche per cause somatiche, beninteso, ed è compito anche della medicina intervenire).
venerdì 24 novembre

audio della lezione:
prima parte
seconda parte

Amalia Signorelli, Ernesto De Martino. Cap. 3: Presenza e crisi della presenza. Quali fattori ostacolano la possibilità di 'farsi' (e mantenersi) sani? Diversi sono i fattori che de Martino individua nell'esperienza dei contadini meridionali, ma la riflessione della Fine del mondo allarga poi il discorso all'esperienza umana in quanto tale: de Martino parlerà di 'negativo dell'esistenza', che può riferirsi a ogni accadimento e darsi in ogni condizione esistenziale, e che si attiverebbe in modo culturalmente determinato: "ogni cultura ha costruito una sua mappa delle crisi possibili, stabilendo qual è la gravità di ciascuna di esse, quali sono i soggetti più esposti, qual è la procedura della reintegrazione" (Signorelli, p. 83).
Pratiche magiche, esorcismi, ritualizzazioni non sono manifestazioni di crisi della presenza, ma (inizi di) cura: "queste pratiche sono già reintegrative della presenza, sono vie d'uscita verso la 'sanità', e dunque sono cultura" (Signorelli, p. 84). Sono tecniche funzionali alla lotta contro il 'negativo dell'esistenza', necessarie per l'attivazione di quel meccanismo che de Martino chiama 'destorificazione del negativo': il negativo dell'esistenza si presenta nella storia, nella quotidianità realmente vissuta, e quando non si riesce ad afffrontarlo e a superarlo con le soluzioni razionali e realistiche che sono usualmente efficaci e sufficienti, si ricorre a una uscita temporanea dalla storia, culturalmente controllata. "Il dato esistenziale che ha scatenato la crisi (morte, malattia, paura e altro ancora) viene mentalmente astratto dal contesto storico per entro il quale è stato esperito e viene ricondotto a un tempo e a una vicenda mitici, un illud tempus nel quale esso si è manifestato per la prima volta e per la prima volta ha trovato una soluzione soddisfacente. [...] E' necessario però rendere presenti, presentificare nella situazione reale, le condizioni che si sono date in illo tempore nella situazione mitica, ed è questo il compito che il rito è chiamato ad assolvere. Il mito è una narrazione, il rito è un comportamento tecnico standardizzato orientato verso uno scopo; in un certo senso si potrebbe dire un comportammento tecnico collaudato" (Signorelli, p. 85). Il dispositivo di destorificazione del negativo (mito+rito) consente di costruire un regime protetto, una realtà parallela, che è una realtà simbolica, una dimensione in cui, grazie ai simboli (che sono qualcosa "che 'sta per' qualcosa d'altro"), si può dare spazio anche a ciò che c'è di "irrazionale nei pensieri e nei comportamenti umani".
Ciò a cui mira innanzitutto la destorificazione del negativo è il controllo dell'angoscia umana: "non è il negativo che ci assilla o ci minaccia a essere risolto: è la crisi della presenza a essere posta sotto controllo [...] attraverso l'esorcismo mitico-rituale. Esso garantisce la possibilità di tornare a operare, di affrontare 'realisticamente' il negativo 'reale': certo, non necessariamente di risolverlo. Ma come tutti sappiamo per esperienza, il risultato 'reale' non è l'unico risultato che in questi contesti importa raggiungere" (Signorelli, p. 87). Va infine sottolineato che tutto ciò non riguarda (solo) tempi e luoghi lontani, ma anche il qui e l'oggi: "Nelle società contemporanee che si pretendono secolarizzate, la destorificazione del negativo attraverso il simbolismo magico-religioso non è affatto scomparsa: è addirittura integrata e rafforzata da una ricca fioritura di linguaggi simbolici che investono gli ambiti dell'economico [...], del politico [...], della ricreazione e del tempo libero [...]" (Signorelli, p. 87-88) .
Amalia Signorelli, Ernesto De Martino. Cap. 4: Il problema e il documento. Sul lavoro di campo di Ernesto de Martino. Non ci sono teorizzazioni sistematiche di de Martino sul metodo della ricerca di campo, ma si può ragionarne a partire dai numerosi spunti che offrono i suoi scritti e analizzando la ampia documentazione proveniente dal suo archivio, pubblicata in anni recenti presso l'editore Argo di Lecce. Per tutte le sue principali 'spedizioni' sono stati pubblicati documenti preparatori, note di campo, prime rielaborazioni e sistemazioni dei dati etnografici: Note di campo. Spedizione in Lucania, 30 sett.-31 ott. 1952 (a cura di Clara Gallini, 1995); L'opera a cui lavoro. Apparato critico e documentario alla Spedizione etnologica in Lucania (a cura di Clara Gallini, 1996); Ricerca sui guaritori e la loro clientela (a cura di Adelina Talamonti, 2008); Etnografia del tarantismo pugliese. I materiali della spedizione nel Salento del 1959 (a cura di Amalia Signorelli e Valerio Panza, 2011).

martedì 28 novembre

audio della lezione:
prima parte
seconda parte

Amalia Signorelli, Ernesto De Martino. Cap. 4: Il problema e il documento. Sul lavoro di campo di Ernesto de Martino. Tecniche e metodi dell'etnografia demartiniana ruotano attorno ai due binomi concettuali e operativi di problema-documento e spedizione-équipe. Le ricerche sul campo di de Martino sono state successivamente criticate perché poggiate su soggiorni brevi e rivolte a luoghi vicini. Chiarito che de Martino non studiava 'comunità' locali ma istituti culturali (tarantismo, lamentazione funebre, magia), va detto che nell'Italia del dopoguerra c'erano forti differenziazioni tra città e campagna, tra culture e ceti egemoni e culture e ceti subalterni (tanto che Alberto M. Cirese parlerà di 'dislivelli interni' di cultura), e dunque l'etnologia sul nostro meridione poteva incontrare una notevole densità di alterità culturali. Tarantismo, lamentazione funebre e magia non sono per de Martino residui di un lontano passato, che hanno attraversato inalterati il tempo; queste 'persistenze' culturali sono da un lato tutt'ora efficaci nel contesto culturale in cui ad esse si fa ricorso, dall'altro segnano il limite della capacità espansiva della cultura egemone (per esempio del cattolicesimo ufficiale).
Tante sono state le tecniche di raccolta di dati che le équipe di de Martino impiegavano sul terreno, tanti e tanto diversi i documenti che venivano raccolti e archiviati: la convinzione del carattere e della destinazione interamente umane dei beni cuturali conferiva valore e interesse a tutto ciò che i gruppi umani producevano nella loro vita culturale, e tutto poteva concorrere a intendere il significato umano degli accadimenti. Quest'ultimo però era tutt'altro che univoco e universalmente condiviso. Il significato che etnologicamente e storiograficamente ricostruivano i ricercatori era diverso da quello coscientemente vissuto dalle popolazioni studiate. Questo problema era già chiaro a de Martino ai tempi di Mondo magico, ma lì la soluzione era da un lato in termini di riconoscimento del carattere culturalmete costruito del 'reale', che dunque poteva non essere sempre lo stesso 'reale' nelle diverse culture, dall'altro nell'avocare alla sola coscienza moderna la capacità di concettualizzazione e determinazione del significato storiografico della magia.
Nel confronto etnografico, storico, politico con i viventi e vicini contadini meridionali, non poteva funzionare l'idea di un mondo (magico) a sé stante, con caratteristiche sue proprie. Ne sarebbe conseguita una visione del mondo contadino come entità culturalmente separata dal resto della nazione, e questo era quanto veniva semmai attribuito a Carlo Levi. Dunque, fa notare Fabio Dei nella Introduzione alla edizione Donzelli di Sud e magia, quando de Martino abbandonava le posizioni espresse nel Mondo magico sulla 'storicizzazione delle categorie', più che impoverire il suo discorso teorico lo liberava dall'ipoteca di vincolanti e ingombranti opzioni filosofiche e lo rendeva flessibilmente capace di confrontarsi con la realtà (culturale, sociale, politica) del nostro Meridione. Certo, va anche notato che cambiava, rispetto a Mondo magico, anche l'approccio al concetto di 'realtà dei poteri magici': in Sud e magia non se ne parla più, non si parla più di 'realtà' culturalmente condizionata, e il libro si chiude con una presa di posizione netta sul rapporto tra magia e ragione: "Anche per le genti meridionali si tratta di abbandonare lo sterile abbraccio con i cadaveri della loro storia, e di dischiudersi a un destino eroico più alto e moderno di quello che pur fu loro nel passato: un destino che non sia una fantastica città del sole da fondare tra le montagne di Calabria, ma una civile città terrena unicamente affidata all’ethos dell’opera umana, e cospirante con le altre città terrene di cui è disseminata questa vecchia Europa e il mondo intero che dell’Europa è figlio. Nella misura in cui questo avverrà sarà ricacciato nei suoi confini il regno delle tenebre e delle ombre – la corrente Oceano dell’episodio omerico –, e impallidirà anche il fittizio lume della magia, col quale uomini incerti in una società insicura surrogano, per ragioni pratiche di esistenza, l’autentica luce della ragione."

venerdì 1 dicembre

audio della lezione:
prima parte
seconda parte

Qualche valutazione sulla irruzione di skinheads, il 29 novembre scorso, nella sede di Rete Como Senza Frontiere.
Dell'Introduzione di Fabio Dei e Antonio Fanelli all'edizione da loro curata (Roma. Donzelli, 2015) di Sud e magia [sono disponibili l'Indice, la Premessa, l'Introduzione], possiamo sottolineare qualche spunto critico. L'abbandono di una idea di 'mondo magico' come età storica che è funzionale all'impegno etnografico nel meridione italiano (se ne è parlato nella lezione precedente). Lo 'scandalo' duplice del nesso Sud-magia: scandalo in senso demartiniano ("Per scandalo si deve intendere un fenomeno o un evento che, nel momento in cui cerchiamo di comprenderlo, scardina le nostre certezze e ci costringe a mettere in discussione le categorie usuali del nostro pensiero") e scandalo in senso generale, perché un approccio di rinnovato meridionalismo che fa spazio all'attenzione per il contesto sociale, economico e politico dentro il discorso storico-religioso, e per il fatto magico-religioso dentro il discorso politico-economico, non risultava ben accetto alle impostazioni usuali né in ambito accademico né in ambito politico. Per de Martino, invece, "Il problema della comprensione della magia, ovvero del ripensamento del concetto di ragione umana alla luce della diversità culturale,
e il problema dell’emancipazione dei ceti subalterni meridionali, sono facce di una stessa medaglia", e questo si sostanzia nel tenere insieme, nell'analisi storica ed etnologica dei fatti di cultura, l'aspetto alto e quello basso, il colto e il popolare, non considerandoli mai separati e separabili: "Sta qui il succo dell’impostazione gramsciana, appunto, secondo la quale il piano egemonico e quello
subalterno possono essere compresi solo tenendoli strettamente in relazione l’uno con l’altro". Sta in questa impostazione, per Dei, "il senso profondo della sua operazione storicista [...]. L’idea, vale a dire, che la cultura popolare non è costituita da un repertorio più o meno stabile di tratti arcaici da raccogliere e classificare, e magari trasformare in forme di patrimonio culturale: ma nel frutto sempre provvisorio di una storia di relazioni di potere, di interazioni fra il piano egemonico e quello subalterno". Una impostazione che però non ha avuto molti sviluppi successivi, negli studi antropologici italiani, soprattutto per il confronto poco approfondito (salvo eccezioni) con i problemi posti agli studi sulla cultura popolare dallo sviluppo delle comunicazioni di massa, sia dal lato della produzione sia da quello della fruizione dei nuovi prodotti culturali ad esse collegati.
Tre fasi nell'avvicinamento di de Martino alla realtà lucana: l'influenza di Cristo si è fermato a Eboli di Levi, che esce nel 1945; l'incontro con Rocco Scotellaro (1949-1950); i sopralluoghi e le spedizioni condotte in autonomia con le sue équipe di ricerca (1952-1959).
Quattro, all'ingrosso, le tipologie di lavoro intellettuale che si incrociano in Lucania negli anni '50 (per un quadro complessivo, si ricordino le schede Presenze in Lucania 1935-1959 (mappa e tabelle) [24/07/2006] e Presenze in Lucania 1935-1959 (tabella estesa) [24/07/2006]):
- esploratori e documentatori autonomi: Henri Cartier-Bresson, Federico Patellani, Fosco Maraini
- studi di comunità, interventi sul territorio: Friedrich Friedmann, George Peck, Edward Banfield (in relazione con Manlio Rossi-Doria, Carlo Levi, Rocco Scotellaro, Rocco Mazzarone; Adriano Olivetti, Ludovico Quaroni e il progetto di Borgo La Martella a Matera)
- gli studi di Giovanni Battista Bronzini, nativo di Matera, allievo di Paolo Toschi, improntati a una rigorosa folkloristica di stampo classico
- de Martino e le sue équipe

martedì 5 dicembre

audio della lezione:
prima parte
seconda parte
Ernesto de Martino, Sud e magia. Nella Prefazione de Martino ricorda che "L’alternativa fra «magia» e «razionalità» è uno dei grandi temi da cui è nata la civiltà moderna", ed è in questo contesto che colloca la sua ricerca sulla magia lucana, che mira a offrire "alcuni spunti indicativi e programmatici per la determinazione della misura e dei limiti in cui la vita culturale del sud ha partecipato consapevolmente a questa grande alternativa della civiltà moderna". La prima parte del libro ("Magia lucana") è dedicata ai risultati dell'esplorazione etnografica "delle sopravvivenze lucane delle più rozze pratiche
di magia cerimoniale"; la seconda parte mette in relazione "queste sopravvivenze e la forma egemonica di vita religiosa, cioè il cattolicesimo nelle sue particolari accentuazioni magiche meridionali": "ne risulta un panorama a prima vista estremamente disgregato, contraddittorio, punteggiato da coesistenze assurde: e tuttavia, a un più attento esame, si renderà palese il tema unitario che tiene insieme elementi così eterogenei, e cioè la richiesta di protezione psicologica di fronte alla straordinaria potenza del negativo nella vita quotidiana"; nella terza parte del libro, infine, "si analizza la partecipazione dell’alta cultura meridionale alla polemica antimagica da cui è nata la civiltà moderna", partecipazione che presenta limiti "istruttivi", che tra l'altro hanno prodotto la "formazione di una ideologia di compromesso che, del tutto irrilevante dal punto di vista teorico, esercitò a Napoli una notevole influenza nell’ambito pratico del costume: la ideologia della jettatura, che non è la cupa fascinazione medievale o dell’epoca dei processi contro le streghe, né la fascinazione della magia naturale, ma una formazione di compromesso di origine colta, e che si attiene ad una disposizione psicologica fra seria e faceta, scrupolosa e scettica". In generale, "l’immediato collegarsi della rozza «magia lucana» con i vari momenti critici dell’esistenza, e il suo inserirsi al livello più basso in una serie di gradi e di raccordi che mette capo al culto cattolico, costituiscono una preziosa opportunità per studiare in concreto la dinamica magico-religiosa di una società determinata".
La prima parte di Sud e magia, quella etnografica, si articola in sette capitoli, i primi sei dei quali sono basati largamente sulla elaborazione dei dati raccolti nella spedizione dell'ottobre del 1952, che toccò dodici località., mentre il settimo trae origine da quelli raccolti ad Albano di Lucania tra il maggio e il giugno del 1957 (si vedano Scheda 2 - Ernesto de Martino in Lucania: 1949-1959 [12/06/2006]; Scheda 3 - Ernesto de Martino in Lucania: l'itinerario del settembre-ottobre 1952 [16/07/2006]).
1. La fascinazione; 2. Fascinazione ed eros; 3. La rappresentazione magica della malattia; 4. Infanzia e fascinazione; 5. La fascinazione del latte materno; 6. La tempesta
martedì 12 dicembre

audio della lezione:
prima parte
seconda parte

L'ultimo capitolo della parte etnografica di Sud e magia è Vita magica di Albano. La spedizione del 1957, il ruolo di Emilio Servadio. Le fotografie di Ando Gilardi (pubblicate in I viaggi nel Sud di Ernesto de Martino. Fotografie di Arturo Zavattini, Franco Pinna e Ando Gilardi. A cura di Clara Gallini, Francesco Faeta Torino, Bollati Boringhieri, 1999; reperibili anche on line sul sito della Fototeca Storica Nazionale Ando Gilardi http://archivio.fototeca-gilardi.com/home ). Il mago Giuseppe Calvani, zio Giuseppe, detto Ferramosca. I racconti degli abitanti di Albano di Lucania, riportati da de Martino, vertono su esperienze di sonnambulismo, incontri con i morti, messe dei morti, possessioni, legamenti notturni: esperienze che denotano una diffusa labilità della presenza, in cui "l’esperienza di dominazione [...] è da interpretare innanzitutto come esperienza di una presenza individuale che non riesce a farsi presente, e che perciò si dibatte, ed esteriorizza in varia guisa sia l’attentato subìto sia la resistenza ad esso". Si hanno "vicende oniroidi che realizzano in immagini e movimenti reali una fondamentale esperienza di dominazione": "la visione oniroide mimata (con un «personaggio» che recita tutte le parti, o con due personaggi), la introduzione di corrispondenti modificazioni nella realtà, la possibilità di un completo oblio dell’esperienza psichica vissuta e la integrazione della vicenda con le rappresentazioni della fascinazione, della fattura, delle maciare e della controfattura stanno a nostro avviso alla base di molti episodi ricorrenti nella vita magica di Albano."
La seconda parte del libro è titolata "Magia, cattolicesimo, alta cultura": la interpretazione teorica dei dati etnografici (svolta nei capitoli 1. Crisi della presenza e protezione magica; 2. L’orizzonte della crisi; 3. La destorificazione del negativo), infatti, necessariamente deve saldarsi alla rilettura storica dei rapporti della magia lucana con il cattolicesimo e l'alta cultura meridionali, perché solo così, per de Martino, si potrà avere una visione insieme completa e storicamente individuata della questione. Magia, cattolicesimo e alta cultura stanno come tre elementi non separabili della vita culturale meridionale, in rapporti non egualitari tra loro, certo (la magia essendo culturalmente e socialmente subalterna), ma comunque intrecciati e reciprocamente influenzantisi, secondo dinamiche e modalità che de Martino studia e ricostruisce, approssimandosi in modo progressivo a una comprensione sempre più esatta del fenomeno magico in un luogo e in un momento dati.
"Se ci chiediamo quali sono le ragioni che fanno ancora sopravvivere una ideologia così arcaica nella Lucania di oggi, la risposta più immediata è che tuttora in Lucania un regime arcaico di esistenza impegna ancora larghi strati sociali, malgrado la civiltà moderna" : "l'immensa potenza del negativo lungo tutto l’arco della vita individuale, col suo corteo di traumi, scacchi, frustrazioni, e la correlativa angustia e fragilità di quel positivo per eccellenza che è l’azione realisticamente orientata in una società che «deve» essere fatta dall’uomo e destinata all’uomo, di fronte a una natura che «deve» essere senza sosta umanata dalla demiurgia della cultura: ecco – si dirà – la radice della magia lucana, come di ogni altra forma di magia".
Tutto questo è vero, ma non basta. Resta generico, e porta a una concezione della magia come semplice aberrazione.
Un passo avanti si fa se ci si chiede quale sia il "significato psicologico" della connessione tra i "temi della forza magica, della fascinazione, della possessione, della fattura e dell’esorcismo" e la potenza del negativo quotidiano nel regime esistenziale lucano: "questo significato psicologico mette in luce un negativo più grave di qualsiasi mancanza di un bene particolare: mette in luce il rischio che la stessa presenza individuale si smarrisca come centro di decisione e di scelta, e naufraghi in una negazione che colpisce la stessa possibilità di un qualsiasi comportamento culturale".
Riprendendo gli esempi di "labilità della presenza" riportati nella prima parte del libro, e aggiungendone altri, stralciati "dal nostro taccuino di viaggio", de Martino commenta: "ora in queste condizioni di labilità della presenza si innesta la funzione p r o t e t t i v a delle pratiche magiche. La magia lucana è un insieme di tecniche socializzate e tradizionalizzate rivolte a proteggere la presenza dalle crisi di
«miseria psicologica» e a ridischiudere mediatamente – cioè in virtù di tale protezione – le potenze operative realisticamente orientate". E prosegue: "Piano realistico e piano magico della tecnica non
entrano in contraddizione soggettiva fra di loro perché la magia non ha propriamente per oggetto, come la tecnica profana, la soppressione di questo o quel negativo, ma la protezione della presenza dai rischi della crisi esistenziale di fronte alle manifestazioni del negativo. Finché sussiste il bisogno di protezione il conflitto non ha luogo; ovvero resta puramente ideale e oratorio: qui sta la ragione per cui il piano magico si mantiene sostanzialmente «impermeabile all’esperienza», e cioè sia agli insuccessi delle pratiche magiche, sia alla constatazione che i successi accompagnano più frequentemente i comportamenti realistici che non quelli magici" (e qui de Martino inserisce una lunga e importante nota al testo, in cui argomenta come sia "da respingere nettamente la interpretazione della impermeabilità magica all’esperienza come espressione di una «mentalità primitiva»", perché "qualsiasi società umana appartiene alla storia nella misura in cui dispiega comportamenti razionali realisticamente orientati"; così come è "da respingere ogni teoria che intenda fondare la magia sulla realtà dei cosiddetti «poteri magici»": "non si nega quindi che una pratica magica possa p. es. agevolare il buon esito di una battuta di caccia, ma nessuna civiltà poté mai rinunziare a cacciare realmente: e i cacciatori del paleolitico non hanno mai optato per i soli disegni magici di animali con frecce fitte nelle carni").
Infine de Martino enuncia l'articolazione delle modalità di protezione magica, che argomenterà nei due capitoli seguenti: "la protezione magica, così come emerge dal materiale relativo alla magia
lucana, si effettua mercé la istituzione di un piano metastorico che assolve a due distinte funzioni protettive. Innanzi tutto tale piano fonda un orizzonte rappresentativo stabile e tradizionalizzato nel quale la varietà rischiosa delle possibili crisi individuali trova il suo momento di arresto, di configurazione, di unificazione e di reintegrazione culturali. Al tempo stesso il piano metastorico funziona come luogo di «destorificazione» del divenire, cioè come luogo in cui, mediante la iterazione di identici modelli operativi, può essere di volta in volta riassorbita la proliferazione storica dell’accadere, e quivi amputata del suo negativo attuale e possibile"; e dunque "in virtù del piano metastorico come o r i z z o n t e d e l l a c r i s i e come lu o g o d i d e s t o r i f i c a z i o n e d e l d i v e n i r e si instaura un regime protetto di esistenza, che per un verso ripara dalle irruzioni caotiche dell’inconscio e per un altro verso getta un velo sull’accadere e consente di «stare nella storia come se non ci si stesse»".

venerdì 15 dicembre

audio della lezione:
prima parte
seconda parte
L'articolazione del piano metastorico, come lo propone de Martino nei capitoli 2. L’orizzonte della crisi e 3. La destorificazione del negativo, potremmo schematizzarlo così:

piano
metastorico
(spiegazione dei) sintomi
+
diagnosi
orizzonte rappresentativo della crisi, basato sulla "ideologia della forza magica, della fascinazione, della possessione, della fattura e dell’esorcismo" e sulla esperienza di essere-agito-da; è un quadro stabile, socializzato e tradizionalizzato, che "opera come strumento di arresto di configurazione e di unificazione della varietà delle possibili crisi individuali della presenza dinanzi al dispiegarsi della potenza del negativo"
cura destorificazione del negativo, "dell’accadere in quanto negativo attuale o possibile"; la magia lucana usa "la tecnica fondamentale del «così-come», con la quale il «così» di un certo concreto aspetto negativo e di un corrispondente desiderio di eliminazione viene ritualmente riassorbito in una esemplarità mitica risolutiva"; il rito (la recitazione dello scongiuro, gli atti che alla recitazione si devono accompagnare, ecc.) ripete e attualizza il mito esemplare, in cui "tutto è già deciso nel senso desiderato"; si costruisce così "un regime protetto di esistenza, nel quale la prospettiva negativa è cancellata in virtù di un come mitico", il cui modello va ritualmente iterato e attualizzato, seguendo le interdizioni prescritte o valendosi delle riparazioni previste

La seconda parte di Sud e magia mostra all'opera il metodo storicista demartiniano, che combina la interpretazione teorica dei dati etnografici con la loro reintegrazione nel concreto contesto culturale a cui appartengono, mediante la indagine storica sul ruolo che in questo contesto giocano diverse forze sociali e culturali. Queste forze, nel caso specifico, sono richiamate nel titolo stesso della seconda parte del libro: magia, cattolicesimo e alta cultura. Esse sono considerate nello loro specificità ma anche nella loro interazione e integrazione; di esse si tiene ben presente la gerarchia che distingue chi e e cosa è egemone da chi e cosa è subalterno, ma si tengono presenti anche i fenomeni di circolazione culturale che disegnano non un quadro statico ma dinamico di queste interazioni.
L'analisi demartiniana procede per affinamenti progressivi, proponendo spiegazioni del fenomeno magico via via più circostanziate:

- prima il nesso tra ideologia arcaica (quella della bassa magia cerimoniale lucana) e regime arcaico di esistenza (quello dei contadini lucani ancora nel secondo dopoguerra)
- poi il significato psicologico che ha il ricorso alla magia, di protezione contro l'immensa potenza del negativo dell'esistenza, che fa correre il "il rischio che la stessa presenza individuale si smarrisca come centro di decisione e di scelta, e naufraghi in una negazione che colpisce la stessa possibilità di un qualsiasi comportamento culturale"
- infine tutta la "serie di rapporti e di raccordi e di momenti intermedi che fa da ponte alle forme egemoniche di cultura" (cioè il cattolicesimo e l'alta cultura urbana), che colloca la magia lucana nel quadro della vita culturale meridionale, come fenomeno appunto 'vivo', e non 'sopravvivenza' inerte e isolata.
Va sottolineato che in questa parte del libro de Martino affida ad alcune note al testo lo svolgimento e lo sviluppo di aspetti importanti del suo discorso. Si segnalano in particolare la nota 3 ("È da respingere nettamente la interpretazione della impermeabilità magica all’esperienza come espressione di una «mentalità primitiva» [...] È altresì da respingere ogni teoria che intenda fondare la magia sulla realtà dei cosiddetti «poteri magici» [...]"), la nota 21 ("[...] Occorre appena avvertire che, da un punto di vista storicistico, tutta questa sistemazione è priva di senso per la semplice ragione che esclude apriori, per motivi religiosi, la possibilità che il «diavolo» sia un prodotto culturale umano da risolvere senza residuo nel dramma delle singole civiltà religiose. [...]") e la nota 32 ("Ogni altro tentativo di determinare il rapporto magia-religione in base ad una interpretazione della esperienza del sacro che rompa il reale nesso dialettico di questo rapporto, ed esalti una pura religione senza traccia di magia o condanni una pura magia senza traccia di religione, appartiene alla polemica confessionale [...]").

martedì 19 dicembre

audio della lezione:
prima parte
seconda parte

La "serie di rapporti e di raccordi e di momenti intermedi che fa da ponte alle forme egemoniche di cultura" (cioè il cattolicesimo e l'alta cultura urbana) viene analizzata da de Martino negli ultimi quattro capitoli della seconda parte di Sud e magia: 5. Magia lucana e cattolicesimo meridionale, 6. Illuminismo napoletano e jettatura, 7. Sensibilità romantica, polemica protestante e jettatura, 8. Regno di Napoli e jettatura.
Esempi di questi raccordi sono dati dalla diffusissima presenza negli scongiuri della bassa magia cerimoniale di elementi propri della religione cattolica, e de Martino sottolinea come "queste manifestazioni di sincretismo e di riadattamento" fossero dovute alla "influenza diretta o indiretta" dello stesso clero cattolico. E ancora: "Altri raccordi fra magia e forma egemonica di vita religiosa sono palesi nel cattolicesimo popolare, nelle preghiere private extraliturgiche, nel culto delle reliquie, nel corso dei pellegrinaggi ai santuari mariani di Viggiano, di Pierno, di Picciano, di Fonni, nelle guarigioni miracolose, e in quant’altro riflette nell’area lucana la particolare accentuazione di «esteriorità», di «paganesimo» o di «magia» del cattolicesimo meridionale".
Il nesso magia-religione è tale che i due elementi si dispongono agli estremi di una linea di continuità; esse non sono realtà separate, né storicamente né teoricamente: "la «magia» per quanto attenuata e resasi mediatrice di alti valori (almeno per coloro che sono in grado di riviverli), non scompare mai del tutto, poiché – a considerare la cosa dal punto di vista teorico generale, e al di fuori di ogni polemica confessionale – le religioni per «elevate» che siano, se sono davvero religioni e non soltanto vita morale o conoscenza o poesia dispiegate e fatte autonome nella coscienza, racchiudono sempre un nucleo mitico-rituale, una «esteriorità» o «vistosità» pubbliche, una tecnica magica in atto, per quanto affinata e sublimata"; "senza dubbio vi è una immensa distanza culturale che divide l’esorcismo extracanonico della «magia lucana» dal sacrificio della messa: ma tale distanza concerne unicamente il grado di complessità del tecnicismo magico e la qualità e il grado di autonomia dei valori mediati. Lo scongiuro extracanonico della magia lucana è un orizzonte mitico che si riferisce ad una crisi esistenziale definita, ed è uno strumento di destorificazione per un aspetto circoscritto del negativo: il valore che media non va molto oltre, come si è detto, dalla generica sicurezza morale generata dall’affrontare tale circoscritto modo del negativo come se esso fosse già riassorbito nel mito
risolutore. Il sacrificio della messa dà invece orizzonte a un numero indefinito di possibili crisi individuali in rapporto ai più diversi momenti critici dell’esistenza, e al tempo stesso destorifica tutto ciò che, nel divenire storico, può assumere l’aspetto di negativo, in primo luogo nell’ordine morale del «peccato » (di qualsiasi peccato) e in secondo luogo nell’ordine fisico della malattia (di qualunque malattia) [...] il sacrificio della messa sta agli scongiuri extracanonici come – e non sembri fuor di luogo il paragone – una calcolatrice elettronica sta al pallottoliere dei bambini" (e in nota de Martino aggiunge: "L’unico legittimo significato della distinzione fra magia e religione concerne l’elevatezza dei valori mediati, il grado di consapevolezza e di autonomia di questi valori, la loro compenetrazione nel tecnicismo mitico-rituale onde comparativamente diciamo religione una esperienza del sacro in cui i valori mediati sono elevati e complessi, ad alto livello di consapevolezza e di autonomia, e compenetranti mito e liturgia").
L'allargamento di contesto che porta dalla magia lucana al cattolicesimo (meridionale) prosegue con l'esame di alcune caratteristiche storiche dell'alta intellettualità (meridionale), nel quadro di una ricostruzione di una "storia religiosa del sud". Viene dunque indagato "un processo definito, e cioè la trasformazione della fascinazione tradizionale in quel prodotto ideologico e di costume che verso la fine del ’700 ebbe origine a Napoli e che da Napoli si diffuse nel resto d’Italia sotto il nome di jettatura", e questo viene fatto "al fine di misurare certi limiti della partecipazione della cultura meridionale alla consapevole opzione compiuta dalla civiltà moderna a favore della razionalità, contro la magia". Nicola Valletta, autore della Cicalata sul fascino, volgarmente detto jettatura (1787), era un giurista, allievo di Antonio Genovesi (esponente tra i maggiori della cultura illuministica napoletana), eppure la sua opera dipinge un mondo che è il contrario di quello ordinato, stabile e prodotto dell'umano operare razionale, un mondo in cui tutto può andare di traverso: la Cicalata segna il "riconoscimento di una fondamentale immodificabile irrazionalità nel corso delle cose umane, sino al punto di farsi giuoco dello slancio fiducioso dell’epoca delle riforme". Su Valletta e sulla Cicalata de Martino corregge il giudizio di Croce, che riteneva che "l’autore credesse alla jettatura solo per finzione letteraria": per de Martino invece "non si tratta [...] di finzione letteraria che serba sul piano dello scherzo frivolo ciò in cui più non si crede, ma piuttosto di un espediente psicologico che, in tempi non più adatti a trattare certi argomenti come cose serie, finge a sé e agli altri di trattarli come scherzosi, consentendo in tal modo di non rinunziare completamente ad una ideologia e ad un comportamento nei quali, «in fondo», ancora si crede". Sul piano storico la Cicalata è "un documento saliente, e in certo senso inaugurale, di un nuovo costume che si diffuse dapprima nel centro colto della Napoli del ’700, che guadagnò poi altri ceti sociali, e che si diffuse fuori di Napoli in tutta l’Italia meridionale e con minore intensità anche a nord della penisola". Sul piano dell'atteggiamento psicologico, della disposizione d'animo, la Cicalata fissava e legittimava il «non è vero, ma ci credo», il «non si sa mai»; sul piano dei contenuti "fu lo scritto del Valletta a condurre innanzi nell’ambiente napoletano il già da tempo avviato processo di disgregazione folklorica del fascino come seria credenza magica, di magia cerimoniale o naturale che fosse; ma, al tempo stesso, fu lo scritto del Valletta che decisamente concorse a fermare il processo a mezza strada, in un compromesso psicologico caratteristico rispetto all’ambito del diversamente orientato «costume» illuministico europeo", un compromesso pratico fra credenze antiche e tempi nuovi, tra l'antica fascinazione e il razionalismo settecentesco. Il tratto più caratteristico della ideologia napoletana della jettatura è la combinazione colta di scetticismo e di credulità, per cui "il «potere malefico inconsapevole» che procede da determinate persone assume il significato specifico di un’antitesi semiseria alla ragione umana come riformatrice dell’ordine naturale, sociale e morale; l’jettatore appare infatti l’uomo del disordine assoluto in queste tre sfere, ed è al tempo stesso l’uomo dell’occulto e dell’inconscio, che nel secolo dei lumi smentisce tutti i lumi del secolo, inducendo a ricorrere ad amuleti e scongiuri".
Questa ideologia della jettatura mostra dunque i limiti dell'alta intellettualità napoletana settecentesca, che non riuscì a "vivere in tutta serietà la alternativa tra magia e ragione". Questo si spiega con il contesto sociale ed economico del Regno di Napoli, per definire il quale de Martino cita Croce: "il carattere col quale la storia del mezzogiorno immediatamente si presenta è quello di «una storia che non è storia, di un processo che non è un processo perché ad ogni passo interrotto e sconvolto»". Più che parlare di una storia del sud, si deve parlare di una "non-storia del sud", si deve rilevare "la straordinaria potenza del negativo nella storia del sud: una potenza reale, che si manifesta nella relativa angustia delle res gestae nel dominio economico e politico, e quindi nella notata difficoltà di scrivere una corrispondente historia rerum gestarum": "il limite in re che il moto illuministico anglo-francese trovava a Napoli era dato dalla mancanza di una borghesia dei traffici e delle industrie vigorosa e consolidata come classe economica in ascesa, nel quadro di uno stato nazionale in espansione". Dunque "qui si inserisce il particolare rilievo che assumono, nel sud, il ricorso alle tecniche protettive della bassa magia, la accentuazione magica del cattolicesimo, la molteplicità dei raccordi intermedi magico-religiosi, il largo spirito di compromesso, la scarsa capacità d’espansione della cultura di vertice; e proprio qui si inserisce il fatto che alla alternativa fra magia demonologica e magia naturale il pensiero meridionale partecipò in modo decisivo con i Bruno e i Campanella, ma non così alla alternativa tra magia e scienza della natura, che nel mezzogiorno restò senza contributi di rilievo": "il ritardo di sviluppo sul piano economico e politico, cioè sul piano dell’impiego profano della potenza tecnica dell’uomo, rendeva ancora psicologicamente attuale il ricorso alle tecniche cerimoniali del momento magico, in funzione protettiva della presenza individuale costretta a mantenersi in un mondo in cui tutto «va di traverso»".

 

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