Le nove vite di Alberto
Mario Cirese
1: Le patrie culturali
1.2 Il Molise (e Carpitella, e de Martino)
Nella lunga vita di
Alberto Mario Cirese il Molise è stato sempre presente. Di nascita
Alberto era abruzzese di Avezzano, e ad Avezzano ha trascorso l'infanzia
e la prima adolescenza, fino al 1935. Nel 1936 già era aperta la
casa reatina di Viale dei Flavi, e a Rieti Alberto è andato a vivere
stabilmente dal 1940 all'anno del matrimonio, 1953, quando si trasferì
a Roma, per restarci fino alla morte. E il Molise? Il Molise in realtà
c'è sempre, a causa del legame molto forte con la famiglia
paterna. Il Molise Alberto lo ha sempre in casa, con il padre Eugenio,
e lo vive già da ragazzino, ogni estate, con la nonna, gli zii
e i cugini nella casa di Castropignano.
Lì la famiglia si era trasferita dalla vicina Fossalto, dopo la
morte tragica, nel 1908, di Luigi, padre di Eugenio e nonno di Alberto
Mario.
Seguendo gli spostamenti lavorativi del padre, Alberto risiederà
a Campobasso per qualche tempo da studente liceale al "Mario Pagano",
dove si diploma nel 1938, con un anno di anticipo, grazie alla media dei
voti alta che gli consente di fare gli esami al termine del secondo liceo.
Iscrittosi alla Facoltà di Lettere dell'Università di Roma,
la frequenterà sempre da fuori sede, prima da Campobasso e poi,
dal 1940, da Rieti.
Negli anni giovanili il Molise è dunque soprattutto terra di affetti
familiari, ma poi, per tutta la vita, sarà luogo di ricerca, oggetto
di studio, di scritture e di riflessione, contesto di relazioni umane
numerose, profonde, importanti.
Fermiamoci su due esperienze che risalgono già alla prima metà
degli anni Cinquanta, che saranno fondative per la carriera di studioso
di Cirese, e che sono entrambe di argomento molisano: le ricerche sul
campo del 1954 e del 1955, e la prima monografia scientifica pure del
1955.
Cirese già nel 1951 e nel 1953 aveva fatto ricerca sul campo, in
provincia di Rieti, su incarico di
Giorgio Nataletti, per il Centro Nazionale Studi di Musica Popolare (CNSMP),
che operava con il supporto dell'Accademia di Santa Cecilia e della RAI.
Nel 1954 ebbe l'incarico, sempre per il CNSMP, di raccogliere canti, musiche
e altre tradizioni orali in provincia di Campobasso, a Fossalto, Ururi
e Portocannone, e vi si recò il Primo e il 2 maggio 1954 insieme
a Diego Carpitella, di cui sarà fraterno amico per tutta la vita.
Cirese e Carpitella raccolgono 48 brani, che costituiranno la Raccolta
23 del CNSMP. Questa Raccolta, e tutte le altre del CNSMP, sono conservate
presso la Bibliomediateca dell'Accademia di Santa Cecilia (http://bibliomediateca.santacecilia.it/bibliomediateca/)
e presso le Teche RAI (https://www.teche.rai.it/archivio-del-folclore-italiano/).
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Castropignano, casa Cirese "in fondo in fondo", 1984
(Archivio
Cirese, Istituto Centrale per il Patrimonio Immateriale - Roma)
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Nel ricordare l'amico
Diego, Cirese farà più volte riferimento a questa prima
esperienza di ricerca in comune in Molise. Così è nel discorso
che Cirese tenne a Roma sulla scalinata della Facoltà di Lettere
dell'Università Sapienza il 3 agosto 1990, davanti ai docenti e
agli studenti riuniti per onorare lo studioso appena scomparso. Il discorso
si chiude con un riferimento a un tema di comune interesse per Cirese
e Carpitella, la lamentazione
funebre: "Vience dumane, vience a cunsulare, dice un pianto
funebre che anche a te piacque: vience dumane, Diego, vience a cunsulare,
che quel ritorno ancora lo dobbiamo fare."
E così è in uno
dei testi raccolti in un libro di Maurizio Agamennone e Vincenzo Lombardi,
interamente dedicato alla Raccolta 23 (Musiche tradizionali del Molise.
Le registrazioni di Diego Carpitella e Alberto Mario Cirese (1954).
Seconda edizione rivista e aumentata. Roma, Accademia Nazionale di Santa
Cecilia. Fondazione - Squilibri, 2011), in cui Cirese fa riferimento all'ultimo
brano raccolto con Carpitella nel 1954 a Ururi: "E infine qui di
nuovo mi torna il pensiero alle mille volte che con Diego ci ridicevamo,
compiacendocene, due parole: Scale scalone ... È l'inizio
dell'ultimo dei canti che registrammo a Ururi, numero 48: una 'conta'
infantile: Scale
scalone
Scale scalone
La punta del piccione
La punta del pavone
Ti su per ca toca a te . . .ja
Ti su per ca toca a te .. .ja
Voce di bambina che ci rimase nel cuore. Dove sarà, ormai?"
Nel corso della ricerca molisana del 1954 Cirese scattò diverse
fotografie, e in tre di queste compare Diego Carpitella. Le prime due
sono del 1 maggio, a Fossalto: nella prima
si vede Carpitella accanto alla macchina della RAI, mentre un tecnico
registra il cantore Mario Ciarlariello; nella seconda
Carpitella è ritratto insieme a un gruppo di parenti fossaltesi
di Cirese, la famiglia Bagnoli. La terza
ritrae Diego Carpitella a Ururi, il 2 maggio 1954.
Di argomento molisano è il primo libro pubblicato nel 1955 da Alberto
Cirese: Gli
studi di tradizioni popolari nel Molise. Profilo storico e saggio di bibliografia
(Roma, De Luca). Il sopratitolo dice Saggi sulla cultura meridionale
I, perché il lavoro era stato pensato come parte di un progetto
più ampio, poi non realizzato. Questo è un libro molto importante
per Cirese, da diversi punti di vista. Innanzitutto testimonia la sua
scelta definitiva di avviarsi a una vita e a una carriera da studioso
(nel 1956 conseguirà la libera docenza in Storia delle tradizioni
popolari e nel 1957 verrà chiamato dall'Università di Cagliari
per insegnarvi questa materia). Poi, nel descrivere il progetto di cui
il libro doveva far parte, e nel cominciare a svolgerlo studiando il Molise,
Cirese delinea già alcuni degli interessi che approfondirà
nei decenni successivi: quello per la storia degli studi antropologici,
quello per il rapporto tra intellettuali e cultura popolare, quello per
il rapporto tra vita culturale locale e discussioni e riflessioni di respiro
generale.
Infine, questo libro ha per lui un valore di svolta per un altro aspetto
di grande importanza: segna il definitivo distacco da Ernesto de Martino.
Cirese ha parlato in molte occasioni del suo rapporto con de Martino:
già nel 1965, appena un mese dopo la morte di de Martino, partecipò
a una commemorazione
presso la libreria Einaudi di Roma; nel 1967 venne intervistato da Michele
Straniero, che nel 1976 pubblicò una trascrizione
del colloquio (non autorizzata e non rivista da Cirese); il 12 marzo
del 2000 fu Letizia Bindi a intervistarlo per la trasmissione
Il Novecento racconta (in onda su RAI Radio 3; la trascrizione
fu pubblicata su Lares nel 2014); nel 2008 scrisse la Postfazione
a un volume di omaggio a Vittorio Lanternari, a suo tempo molto legato
a de Martino.
Dal punto di vista di Cirese l'incontro con de Martino, forse, fu un innamoramento
intellettuale troppo poco corrisposto, l'allontanamento e poi la rottura
furono un lutto mai superato, rivissuto, nei lunghi anni dell'operosa
vecchiaia, con fastidio crescente, fino all'acredine.
Cirese aveva conosciuto de Martino sulle pagine del Mondo magico,
tra il 1948 e il 1949, e ne era stato colpito e affascinato: aveva visto
la possibilità di superare Croce dall'interno, non rigettandolo
ma andando oltre, e questo gli aveva ridato interesse per gli studi di
folklore e di etnologia, accantonati dopo la laurea del 1944 con Paolo
Toschi a favore dell'attività politica con il Partito Socialista
Italiano (dal 1946 Cirese era assessore al Comune di Rieti, nella giunta
del sindaco Angelo Sacchetti Sassetti). Cirese andò a incontrare
de Martino a Firenze nel novembre del 1950, portandogli le bozze del suo
primo lavoro scientifico, sul tema della lamentazione funebre (Nenie
e prefiche nel mondo antico, in Lares, vol. 17., 1951, n. 1/4,
p. 20-44). De Martino ancora non si occupava dell'argomento, sul quale
si sarebbe concentrato piuttosto a partire dai soggiorni in Lucania del
1952 e 1953, ma fra i due si aprì un dialogo e si avviarono progetti
di collaborazione.
Il primo segnale di crisi nel rapporto Cirese lo sentì all'inizio
del 1953 in uno scambio
di lettere, mentre lui era a Parigi a studiare appunto la lamentazione
funebre da un punto di vista etnologico, e nella risposta di de Martino
colse l'atteggiamento di chi si stava appropriando in via esclusiva del
tema. Tra i due le differenze erano grandi: Cirese era agli inizi come
studioso, de Martino era di tredici anni maggiore, aveva già scritto
saggi e libri importanti, dirigeva una collana di etnologia e studi religiosi
per Einaudi, era stato in relazione diretta con Benedetto Croce. Del resto
l'anno dopo, a Roma, Raffaele Pettazzoni, direttore della Scuola di perfezionamento
in Scienze etnologiche, fu netto: disse a Cirese che di lamentazione funebre
si occupava de Martino e gli ritirò il consenso a fare la tesi
per la Scuola su quel tema. Cirese si staccò da de Martino, abbandonò
l'etnologia e uscì dal gruppo di giovani studiosi raccolti intorno
a lui - Vittorio Lanternari, Tullio Seppilli, Diego Carpitella, Franco
Cagnetta, Romano Calisi - anche se con diversi di loro rimase amico per
tutta la vita.
Il libro sul Molise del 1955, e l'intenso lavoro per La Lapa, la
rivista fondata nel 1953 da suo padre Eugenio, marcarono dunque una svolta
di vita: l'interesse di studio si concentrava sul folklore e le tradizioni
popolari, e il giovane Cirese provava a sé e al mondo di saper
camminare sulle sue gambe.
Cirese e de Martino si ritrovarono qualche anno dopo all'Università
di Cagliari: Cirese vi insegnava dal 1957 Storia delle tradizioni popolari,
de Martino dal 1959 Storia delle religioni. All'inizio ci furono ancora
tensioni molto forti tre i due; le cose andarono meglio dopo che nel 1961
Cirese, divenuto professore ordinario, stabilizzò definitivamente
la sua posizione accademica, e negli ultimi anni di vita di de Martino
(che morì il 6 maggio 1965) ci furono anche occasioni di nuova
collaborazione scientifica ed editoriale.
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